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Sul limite occidentale della Marca Anconetana, nel punto in cui il fiume Esino, uscito dalle gole della Rossa, attraversa una stretta zona pianeggiante dove riceve le acque del torrente Esinante, sorge il monastero fortificato di Sant’Elena.
Di questo antico cenobio benedettino, passato alla congregazione camaldolese nel 1180 e la cui istituzione si fa risalire al principio del Mille per volontà di San Romualdo, è nota la data di consacrazione dell’edificio di culto, avvenuta nel 1212 come riporta un’iscrizione ancora in sito.

Di fatto l’abbaziale e il robusto torrione quadrilatero innalzato a difesa dell’insediamento sono le uniche vestigia superstisti del monumento medievale, la cui costruzione fu condotta soprattutto nel corso del XII secolo. A questo periodo si devono ricondurre l’impostazione architettonica della chiesa, di impianto basilicale e conclusa da un coro monoabsidato che sovrasta la cripta riedificata
dopo il crollo del 1925, e l’elaborazione del ricco arredo plastico del portale di facciata e dei semicapitelli a decoro vegetale e figurati inseriti sul versante interno delle tre coppie di pilastri cruciformi che articolano il volume del corpo longitudinale interno.

Tuttavia l’estremo allungamento dei sostegni, ben al di sopra dell’imposta dei semicapitelli romanici, e la netta sopraelevazione dei muri di fiancata segnano lo stacco progettuale tra la fabbrica benedettina e le fasi conclusive del cantiere. Il passaggio del monastero all’ordine camaldolese comportò, quindi, un profondo rimodernamento dell’edificio e l’adozione su tutte e tre le navi di coperture a crociera che raggiungendo la medesima altezza, il cosiddetto sistema a sala, conferiscono alla chiesa una spazialità di impronta protogotica fino ad allora inedita nel panorama marchigiano.

 

Il testo è tratto da Il romanico nelle Marche a cura di Claudia Barsanti, Pio Francesco Pistilli, Ars media, Fermo, 2000.

 

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