Un castello, una cittá, un diavolo e dodici bocce
La strada statale che da Senigallia procede in direzione di Arcevia taglia praticamente in due la vallata del fiume Misa. La zona, oggi economicamente sviluppata, ha conosciuto tempi peggiori. L´entroterra, nel Medioevo, era infestato da briganti che depredavano i viaggiatori e si ritiravano poi in rifugi ben muniti. Gli abitanti dell´antica Montenovo (oggi Ostra Vetere) dovettero in pieno quattrocento armarsi, oltre che di coraggio, di solide spade e muovere alla distruzione di una di quelle tane, il vecchio castello che era stato del Boscareto. Boscareto, più che vero e proprio maniero, era una dimora feudale di campagna, uno dei tanti presidi sparsi in questo tratto di terra. Se ne può tutt´oggi localizzare l´antica posizione, su una collina nei pressi di Ostra Vetere, ancora piena di mattoni e "cocci"sparsi. Oltre Boscareto, più o meno alla stessa altezza, ma a qualche chilometro di distanza, c´era anticamente un altro fortilizio: il "castellare" di Castel Murato. Indagare sul nome, alquanto strano a prima vista, offre la spazio a un discorso ben più approfondito e interessante.
Oggi la località si chiama "Muracce", ma non ha ereditato la sua denominazione dall´ormai scomparso castello, così come quest´ultimo non la ricevette da essa. Il fatto é che, procedendo da quella collina fino al fiume Misa, ci si imbatte, quasi d´un tratto, in quello che resta di una costruzione dell´epoca romana , della quale sono in piedi i muri esterni, distrutti e "frantumati" dal tempo: appunto, quattro "muracci". Siamo sulla riva sinistra del fiume, nel territorio del comune di Ostra Vetere; i "muracci" si ergono con discreta imponenza, a prima vista sembrano gli unici in tutto il circondario; ma a chi si avventura nei campi circostanti appare un considerevole insieme di resti: brani sbeccati di muri, canali di fogna, pavimenti a spina di pesce, pavimenti a mosaico.
È quello che rimane dell´antico municipio romano di Ostra. Ostra sorse in un periodo indefinito, probabilmente qualche secolo prima di Cristo.
Giuseppe Colucci, nelle sue "Antichità Picene", ne attribuisce la fondazione agli Umbri o agli Etruschi. La sua distruzione si fa risalire al quinto secolo dopo Cristo, ad opera dei Goti di Ataulfo. Altri la vogliono invece definitivamente distrutta dai Longobardi nel secolo seguente; che sia perita, in ogni caso, in circostanze violente, é indubbio.
Parlare di questa città, di ciò che ne resta e di quello che é stata sarebbe interessante, ma non abbiamo nè competenza nè autorità sufficienti per farlo. Quello che c´é, riguarda gli archeologi, o, più genericamente, gli studiosi; ci piacerebbe invece soffermarci, seppure per un attimo appena, su quello che "non" c´é. La fantasia popolare anche su Ostra ha sovente favoleggiato.
Favole strane, forse con un fondo di verità nascosto tra le righe, ma talmente "chiuso" da un involucro mitologico che tirarlo fuori risulterebbe veramente difficile. Dicevano, una volta, che avventurarsi tra le rovine della vecchia città é un´impresa disperata. Già, perchè acquattato tra i cespugli, o annidato in fondo ai più riposti cunicoli, c´é, pensate un po´, un diavolo; un diavolo che aspetta l´incauto visitatore e, a tradimento, lo riempie di bastonate. Bastonate? Quelle non sono bastonate, sono colpi di maglio.
Ti "scassano" dalla testa ai piedi. Ti fanno stare per mesi e mesi con le ossa rotte: in poche parole, "ti levano il vizio". Il diavolo e le paure di ogni genere sono l´anima di tutta una tradizione, vissuta giorno per giorno, e che solo oggi tramonta spinta dalle nostre macchine. C´era chi diceva che, al visitatore notturno, la città appare calma e silenziosa. Si cammina per i campi cosparsi di mattoni e poi, d´improvviso, si apre quasi per miracolo una galleria che nessuno aveva mai visto prima. Non si sa cosa c´é dentro, o meglio, si sa anche troppo bene: é un´indefinita cosa che "luccica".
Ma guai a entrare nel cunicolo, potresti fare al massimo tre o quattro passi: dopo, c´é sempre quella mano misteriosa, la mano di "lui", che ti riempie, inesorabilmente, di legnate. È vero, non é vero? Di questi misteri sono state piene le favole dei nostri nonni. Noi, da piccoli, sgranavamo gli occhi quando qualcuno le raccontava. Era facile dire "non ci credo". Ma se andavamo in quei campi dove sorgeva una volta "la città romana" il respiro, chissà come, diventava affannoso, il passo circospetto. Sì, il diavolo. Forse ci aspettava, da qualche parte. Forse ci seguiva. Ma nella città, dicevano tanti anni fa, c´é anche un tesoro, un eccezionale tesoro, di incalcolabile valore. Si raccontava che i Romani vi avessero interrato un "gioco di bocce" d´oro. Inutile osservare che non sapevamo i Romani tanto presi da un gioco per antonomasia pacifico e tranquillo, in quell´epoca di fine-impero, travagliata e pericolosa; questo era ciò che dicevano molti vecchi: e la loro parola era assai più ascoltata che non quella dei libri. Oggi queste cose fanno sorridere. Ma forse c´é stato un tempo, (e neanche troppo lontano), in cui occhi paurosi e attenti scrutavano forsennatamente , combattuti fra la paura per il diavolo che bussava a colpi di bastone e il desiderio di trovare quei fantastici chili d´oro, dodici bocce e un pallino, pensate! O forse le chiacchiere son restate chiacchiere e basta: la strada oggi é frequentata, il traffico intenso, i campi circostanti coltivati.
Chiediamo scusa, dunque, abbiamo scherzato, ma la passione che ci lega alle nostre tradizioni e alle nostre passate "credenze", a volte la vince sulla logica. Dunque, oggi le cose sono cambiate. Nessuno va più in cerca della sfida al demonio e delle mitiche bocce d´oro. Resta la storia, questa stupenda storia di popolo, assai più bella, credetelo, che non quella di Ostra antica e dei Goti; senz´altro più autentica, se non "reale" e quindi da viversi, prima o poi, perchè, bene o male, il dubbio resta: mitico, insolubile, si rinnova a ogni pié sospinto. Forse é proprio tutto vero, e la mano che annida, -con relativo bastone-, nei punti più oscuri non é poi così antidiluviana. E davvero forse, sepolto in qualche parte sconosciuta di quella terra gelosa , esiste un meraviglioso, splendido gioco di bocce d´oro, dodici per l´esattezza. E il pallino. Dirò di più: c´é un bocciodromo, forse. Per la "gloria" e la fantasia di quel nostro ignoto antenato che ci regalò, da sistemare accanto alle antiche pietre dei libri di storia, un pizzico di salgariana avventura.
di Raoul Mancinelli