Dedicata a San Leopardo, la cattedrale di Osimo rappresenta un monumento fra i più significativi dell’architettura tardo romanica delle Marche, frutto, come tanti nella regione, di numerose e notevoli trasformazioni nel corso dei secoli.
Secondo la tradizione, fu proprio il primo vescovo di Osimo, San Leopardo, nel V secolo, a costruire un primo oratorio sui resti di un tempio pagano sorto sul colle Gomero, che ancora oggi sovrasta l’abitato. In onore del suo predecessore, fu poi il vescovo Vitaliano, nell’VIII secolo, a promuovere una prima riedificazione del luogo di culto, un edificio di cui purtroppo poco o nulla è dato sapere e del quale non restano significative testimonianze, fatta eccezione per alcuni frammenti lapidei, probabilmente pertinenti a un originario arredo liturgico e, soprattutto, per la lastra tombale di questo stesso vescovo, attualmente nel Museo Diocesano, destinata a contraddistinguere, come recita l’iscrizione, l’urna contenente le spoglie di Vitaliano.
Esempio di singolare rilevanza nell’ambito della plastica funeraria d’età longobarda la lastra si caratterizza per un repertorio iconografico e uno schema compositivo assai vicini, per esempio, a quelli testimoniati dalla lastra di San Cumiano a Bobbio, con un’ampia cornice decorata con motivi a girali di vite, diramantisi da un cantaro, entro i quali si alternano a rosette foglie con schematici grappoli d’uva. All’interno di tale cornice, al di sotto di una croce patente inscritta in due cerchi concentrici, si dispone ordinatamente l’epigrafe dell’epitaffio.
Fu tra la fine del secolo XII e gli inizi del successivo che il vescovo Gentile (1177-1205) attese all’ampliamento della chiesa altomedievale in basilica a tre navate e transetto, con corpo presbiteriale soprelevato, che conserva tra l’altro l’originario mosaico pavimentale, e alla creazione del sottostante ambiente della cripta in cui è murata un’epigrafe datata 1191, che reca peraltro l’attestazione anche del Magister Philuppus responsabile di tali lavori.
Il prospetto principale della chiesa è posto sul fianco sud su cui si innesta un portico su alta scalinata. In forme gotiche sono i due ingressi ogivali all’interno della loggia: quello centrale con Leoni stilofori e stipiti ornate da ghiere floreali e quello destro caratterizzato da un festone serpentino che si arrotola alla base in grandi volute.
A lato di questo ingresso è murata la lunetta di un precedente portale romanico, dove si allineano ieratiche figurine umane.
Molto interessante per i rimandi al romanico pugliese appare la testata sinistra del transetto, con il grande rosone centrale, circondato da bizzarre protomi ferine, e con l’ampia monofora collocata all’incontro degli spioventi del tetto. Al XIII secolo si può attribuire anche il prospetto posteriore della chiesa, dove l’involucro murario in pietra chiara mostra alcune rappezzature in laterizio. Al centro della parete, con coronamento orizzontale ad archetti, si sviluppa il grande semicilindro absidale, tagliato da una cornice marcapiano che percorre l’intero transetto.
Sopra la cornice si aprono tre monofore, sottolineate da leggere decorazioni e separate da colonnine cordonali.
Anche all’interno, soprattutto nella plastica architettonica, domina un linguaggio formale attribuibile al XIII secolo. Qui a testimoniare uno sviluppo in più fasi del cantiere è l’impiego di due diversi tipi di sostegni, a sezione quadriloba (con quattro semicolonne addossate al nucleo rettangolare) nelle prime quattro campate a partire dall’accesso orientale, cruciformi semplici i pilastri delle due ultime campate verso il presbiterio.
Tuttavia, il carattere di disomogeneità, le irregolarità icnografiche con cui l’edificio oggi si presenta, si devono soprattutto agli interventi delle epoche successive a quella medievale che modificarono reiteratamente il sistema di accesso al presbiterio e alla cripta sottostante. Il rifacimento duecentesco coinvolse anche la cripta, distinta in sette navatelle separate da archi ogivali. Nel sacello vennero reimpiegati rocchi di colonne di origine romana e interessanti capitelli scolpiti, databili all’XI-XII secolo.
Il testo è tratto da Il romanico nelle Marche a cura di Claudia Barsanti, Pio Francesco Pistilli, Ars media, Fermo, 2000.