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Il "Vocabolario del dialetto osimano" di Massimo Morroni si compone di due parti: il vocabolario, con circa 12.000 voci del dialetto parlato ad Osimo negli anni Sessanta, ed una raccolta di vecchie cartoline osimane provenienti dalla collezione di Moreno Frontalini (Perpé).

A seguire alcuni brani tratti da questo volume

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C’ha na bocca brencia!

Questo modo di dire indica propriamente la smorfia che si fa prima di piangere. Di solito, è riferita ad un bambino, specie molto piccolo, ed equivale a ‘’fare il labbruccio’’.
L’ aggettivo bronci significa anche ‘’aspro’’, detto del vino, e ‘’acerbo’’ se riferito ad un frutto. Forse queste accezioni derivano dallo scambio che è avvenuto fra la cosa e l’ espressione mimica della persona, cioè brencia era la faccia di chi gustava un frutto non maturo o un vino non proprio amabile.
La parola è diffusa in tutta l’ area marchigiana, dall’ Urbinate all’ Ascolano. Iniziando dalle nostre parti, il Grillantini la registra solamente nel senso di ‘’ non maturo’’, quindi limitatamente ad un frutto che nun è fattu. Stessa cosa a Castelfidardo, dove Paolo Bugiolacchi aggiunge il modo di dire ‘’ faccia brencia’’, spiegato come ‘’ corrucciato, dolente ’’. Ad Ancona, Mario Panzini registra i tre significati di cui abbiamo sopra parlato, mentre l’ etimologia francese che propone, sembra più adatta alla parola ’’ broncio’’.
Sempre nei dintorni, a Camerano si ha brenc’ ( così ridotto dalla fonetica locale) per dire ‘’ aspro, smorfioso’’. Stessa cosa al Poggio di Ancona, alle falde del Conero e, molto più su, ad Urbino, dove Egidio Conti lo traduce con ‘’ agrestino’’ detto di uva e di vino, cioè ‘’ acidulo, acerbetto’’.
Passando all’ area maceratese, ritroviamo la nostra parola anzitutto a Porto Recanati, il cui vernacolo è di transizione tra il nostro ed il maceratese puro. Qui Scalabroni e Palanca la danno per ‘’acerbo, aspro’’, e riportano ‘’ bocca brencia’’ per ‘’bocca atteggiata a smorfia’’. A Recanati, Gabriele Mariani traduce con ‘’aspro, agro’’, senza riferimenti a niente. Nel Maceratese Giovanni Ginobili fornisce anzitutto la doppia pronuncia, dovuta alla particolare fonetica: si hanno infatti bringiu ( femminile brengia e neutro bringio) e eringi ( vrengia,vringio). I significati sono ancora gli stessi: ‘’ di sapore acre, brusco, acerbo’’: ‘’ sa de vringio’’ significa ‘’ sa di acre’’.
Anche l’ espressione è parallela: ‘ fa’ la vocca brengia’’ equivale a ‘’ storcere il muso’’.
Fra Tronto ed Aso le varianti di pronuncia son addirittura tre: mbrengio, sbringe e vringe, sempre a significare ‘’ acido,acerbo, immaturo’’. Così annota Franceso Egidi.
Andando invece indietro nel tempo, alla fine del Settecento Giuseppe Antonio Compagnoni rilevava ‘’ brencio, cioè di sapore che tira all’ aspro’’ tra le voci romane e marchiane. Ancora un paio di secoli, ed il fiorentino doc, Alessandro Allegri ( 1560- 1620), faceto di nome e di fatto, usò la nostra parola. Tra l’ altro egli è ricordato per voler stare ‘’ quattr’ ore a tavola burlando’’. Scrisse : ’’Chi non ha veduto… cent’ occhi lagrimare e poco men che altrettanti mostacci, facendo la bocca brincia, inlanguidire nella compassionevolcirimonia’’.
Sembra essere l’ attestazione più antica. Da essa si passa ipoteticamente al latino volgare subringere, per il classico subringi, composto da sub e ringi . Ringi significa ‘’ ringhiare, digrignare i denti, arrabbiarsi’’, per questo l’ etimologia è solo possibile, e non provata, data la differenza di significato. L’ Orazio delle Epistole, che esprimeva le miserie dell’ anima con la rappresentazione mordace dei costumi, si trova ad un certo punto ( II, 2 ) a scrivere :’’ Eppure vorrei apparire/ scrittore insensato e senz’ arte ,/ se i miei difetti m’ infondessero piacere/ o almeno un’ illusione,/ piuttosto che capire/ e rodermi di collera’’ ( quam sapere et ringi)   

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