Cerca città, contenuti e materiali

La figura di Luigi Paolucci rappresenta molto onorevolmente un modello di studioso e naturalista reso possibile dalla stagione culturale e scientifica che caratterizzò l’Italia del secondo Ottocento. Sotto l’influsso del positivismo e dell’evoluzionismo, ma anche, come vedremo, di molti altri saperi recenti, la coltivazione della storia naturale locale aveva acquisito l’inedita funzione di valorizzare scientificamente la periferia del paese, appena unificato, con lo studio sistematico delle piante e degli altri caratteri del mondo naturale, con la catalogazione ed il confronto comparativo delle specie.

In quegli stessi anni un altro studioso marchigiano assai simile per formazione ed interessi, Tommaso Salvadori Paleotti di Porto San Giorgio, più anziano di quattordici anni, anch'egli medico, si dedicava con passione alla catalogaziene delle specie ornitologiche del Borneo, della Papuasia e delle Molucche nella sua veste di vicedirettore del Museo Zoologico di Torino (la sua collezione personale è oggi esposta al Museo di Villa Vitali di Fermo) e fu poi incaricato, tra il 1891 ed il 1895, di catalogare gli uccelli conservati al British Museum. Paolucci si dedicò tuttavia, per parte sua, potremmo azzardare a dire da esponente della nuova borghesia liberale, piuttosto allo studio ed all’inventario della fauna e della flora delle Marche, appena divenute una regione dell’Italia unita, come se avesse trasferito nel suo studio scientifico i valori del risorgimento.

Nato ad Ancona il 23 marzo 1849 da famiglia borghese, il padre veterinario anche lui ed appassionato naturalista, Luigi Paolucci studia al Regio Istituto Tecnico di Ancona e poi alla Scuola Provinciale di Veterinaria, dove diventa assistente del professor Francesco De Bosis, già alle prese con il progetto di un gabinetto di scienze naturali a scopo didattico che diverrà poi la principale occupazione di Paolucci dopo la laurea in medicina veterinaria, conseguita a pieni voti all'Università di Bologna nel 1870.

Il progetto del De Bosis diventa più ambizioso con Paolucci (che torna alla Scuola di veterinaria di Ancona come insegnante), ed è quello di allestire un museo regionale di storia naturale, ampliando le collezioni che va raccogliendo nel corso di ricerche condotte a partire dal 1873 e che continueranno fino al primo Novecento con la pubblicazione di molti saggi di botanica, zoologia, paleontologia, mineralogia e zoologia marchigiane (l'insuperata Flora marchigiana, l’Avifauna migratrice, Le piante fossili dei gessi di Ancona, I funghi mangerecci, Le pescagioni della zona italiana del medio Adriatico).

L'idea di raccogliere in un museo i vari aspetti salienti della natura regionale costituiva il corrispettivo naturalistico della più generale tendenza della cultura del tempo, rivolta a centralizzare e raccogliere le fonti della ricerca e dello studio nei più diversi campi indagine, dall’arte alla scienza naturale. Dopo aver subìto le spoliazioni napoleoniche mosse dal desiderio di concentrare a Parigi "il meglio" dell'arte europea, la cultura marchigiana aveva progettato ad esempio, in questi stessi anni, per iniziativa della Deputazione di storia patria e di Carisio Ciavarini, esponente della Commissione conservatrice dei monumenti, la costituzione di un Museo archeologico regionale e di un Archivio delle Marche nei quali conservare le fonti marchigiane più importanti, che faceva il paio con la pubblicazione dei documenti più significativi della storia marchigiana in una Collezione di documenti storici antichi inediti ed editi rari delle città e terre marchigiane (S. Severino Marche, 1868-1884). La "collezione", come il museo, dovevano offrire infatti agli studiosi la possibilità di rappresentare, secondo un ordine didatticamente utile, le fasi storiche genetiche del fenomeno studiato e, in questo modo, ripristinando in laboratorio una natura (o una cultura) sistematizzate ed ordinate, ne avrebbero permesso lo studio organico e comparativo.

Questo atteggiamento svolgeva anche una funzione vicaria dell'esperimento: il museo era divenuto il tempio della nuova scienza sperimentale, fondata sui "reperti" della natura che andavano ricollocati, in laboratorio, al loro specifico "stadio" classificatorio.

Lo studio della realtà naturale marchigiana è, infatti, per Paolucci, sostanzialmente una ricerca sul campo; oltre a svolgere un'intensa attività professionale come veterinario, introducendo, nel più classico spirito positivistico, nuove attenzioni igienico-sanitarie nel trattamento degli animali, Paolucci fa parte della Commissione consultiva caccia e pesca del Ministero dell'Agricoltura, raccoglie un "erbario marchigiano", osserva e studia, con lunghe postazioni, il canto degli uccelli del monte Conero e sostiene con determinazione l'importanza didattica del contatto con la natura, accompagnando i propri studenti in piccole spedizioni, portando seco un recipiente, un buzzigo, come lo chiama in dialetto anconitano, nel quale conserva i preziosi reperti raccolti.

Le sue indagini applicano alla natura marchigiana i principi ed i fondamenti della scienza allora più alll’avanguardia: l'evoluzionismo darwinista, riscuotendo consensi e riconoscimenti dall’Accademia dei Lincei a "Les amis des sciences naturelles de Rouen ", fino ad intessere uno scambio epistolare con lo stesso Darwin, che si mostra positivamente impressionato dei suoi numerosi lavori (tra il 1876 ed il 1929 Paolucci svolge la funzione, elettiva, di consigliere sanitario provinciale; è assessore al Comune; dal 1881 direttore della Scuola provinciale di veterinaria).

La passione per la scienza sperimentale condiziona, negli scritti di Paolucci, anche lo stile classificatorio al quale egli si ispira. Nella sua attenzione per la ricerca delle cause dei fenomeni, Paolucci è molto più vicino a Cuvier che a Linneo; è propenso cioè a ricercare non tanto una classificazione nominalistica (cioè fondata prevalentemente sui nomi delle specie) del vivente, come rischia a volte di essere quella linneiana, quanto a puntare su una sistematica delle funzioni organiche, in ragione delle quali va organizzata la classificazione. L'obiettivo è dunque ricercare le funzioni degli organi e, attraverso una efficiente analisi anatomo-fìsiologica, organizzare il mondo secondo un ordine naturale dalle specie più semplici a quelle più complesse, a loro volta testimonianza di fasi evolutive diverse della natura. "Noi sappiamo come nella istituzione della specie – sostiene nel saggio illustrato Nuovi materiali e ricerche critiche sulle piante fossili terziarie dei Gessi di Ancona (Ancona 1896, p. X-XI) – sia indispensabile imporsi dei limiti nella valutazione dei caratteri differenziali, per non raggiungere i deliri di certi micromorfomani che, centuplicando i nomi della sistematica, col disconoscere tutto il grande e sapiente valore della scuola linneiana, condussero la storia naturale in un labirinto spesso inutile, molte volte dannoso alla scienza".

Accanto a questo atteggiamento sospettoso verso le classificazioni fatue, verso i nomi, gli aggettivi sistematici privi di corrispondenza funzionale, Paolucci rivela tuttavia anche una grande fascinazione per la poesia ed il linguaggio. Secondo una tradizione pedagogica allora diffusa, il giovane Luigi Paolucci aveva tenuto, sin dall'età di quattordici anni, un diario dei propri piccoli fatti domestici, sviluppando una certa sensibilità per la scrittura e per l’annotazione sistematica (terrà per tutta la vita un diario meteorologico e proseguirà, per il figlio Carlo, nato nel 1884, un'analoga registrazione quotidiana che chiama, significativamente, Rose e spine). Tra il 1866 ed il 1867, in pieno romanticismo, aveva scritto componimenti in stile foscoliano (Ode ad Adele Baiguerra, morta d'anni ventidue, Gli italiani, La morte di Ugo Foscolo, L'addio) e tradotto dal greco moderno una Grammatica dell'antica lingua greca di Teofito Bamba.

 

Nel periodo di studio universitario della medicina, a Bologna, Paolucci aveva preso a frequentare anche un corso di sanscrito per una passione naturale verso lo studio delle lingue che apprendeva con grande facilità, erroneamente considerata una sorta di "stranezza" della sua mente creativa e geniale. In realtà, a ben intendere il pensiero scientifico di Paolucci, la passione per il linguaggio e le lettere è parte costitutiva del suo interesse per la natura. È infatti la geologia e la paleontologia, oltre all'anatomia comparata, che gli studi linguistici del XIX secolo prendono a modello, identificando il linguaggio con la sedimentazione stratificata della storia della terra, dalla quale emergono le glosse e le etimologie che, come le ammoniti, contengono le tracce della storia.

Il linguaggio viene inteso, per contro, dai teorici della lingua proprio come un organismo vivente, come una struttura organica dotata di un proprio vitalismo che funziona e si modifica nel tempo in profonda relazione con l'apparato fonetico e le condizioni anatomiche delle specie.

I linguisti contemporanei di Paolucci, Schleicher, Bopp, Humboldt e Müller prendono a modello dei loro studi e delle loro classificazioni le scienze naturali e le teorie evolutive proposte da Darwin. Scleicher pubblica, nel 1863, a pochissimi anni dalla edizione dell’Origine delle specie, il suo libro La teoria darviniana e la scienza del linguaggio. Non c'è dunque da meravigliarsi se il giovane studente di veterinaria Luigi Paolucci legga con passione i libri del filologo ed indianista Max Müller che introducono, sulla scia delle teorie di A. Schleicher, ad una filosofia e scienza del linguaggio impregnate di naturalismo e di estetismo paesaggistico. "Vi è una scienza del linguaggio – sostiene Müller nelle sue Letture sopra la scienza del linguaggio (Milano 1870, Treves, p. 46) – come vi è una scienza della natura della terra, dei suoi fiori, delle sue stelle. Il linguaggio è così un organismo che si evolve, è pregno di un dinamismo che lo rende dialettico, altrettanto della natura di cui è parte e, in qualche modo, specchio".

Paolucci interpreta ed utilizza in senso creativo anche questa sua passione di dilettante linguista; non si limita infatti a tradurre grammatiche greche e spagnole (nel 1926, nove anni prima di morire, scrive Voci e modismi ad uso degli italiani per parlare e scrivere correttamente la moderna lingua spagnola, ma nel 1923 aveva scritto uno Studio comparativo teorico- pratico sulla morfologia, fonetica e fraseologia della lingua spagnola, rimasto inedito, di cui si parla nel numero de "La voce studentesca" del giugno 1923, dedicato al cinquantenario del suo insegnamento), ma si cimenta in una impresa che fa pensare un po' al "meraviglioso" scientifico di Giulio Verne e che si incentra nel tentativo di studiare con metodo il canto degli uccelli alla luce delle più recenti ed innovative teorie linguistiche. Ancora una volta Paolucci sfrutta l'habitat naturale delle sue Marche per sottoporre il canto dei volatili ad una rigorosa classificazione (analisi comparata dei suoni e degli apparati fonatori; scansione del suono in tempo e timbro; classificazione dei vari registri timbrici: molle, acuto, aspro, trillante), passando le sue giornate ad ascoltare i gorgheggi dell’avifauna di passo al monte Conero.

La natura svolge qui la funzione del laboratorio: è il “monte d'Ancona”, con la sua rendita di posizione geografica, ad assumere il ruolo già affidato al suo museo naturalistico nel quale è possibile studiare i fenomeni e confrontarli reciprocamente.

Il confronto e lo studio all'aria aperta danno anche seri e concreti frutti scientifici; anzi producono una pubblicazione che potrebbe essere definita uno straordinario messaggio di "poesia scientifica" o di "scienza della poesia" nella quale Paolucci si rivela pensatore non provinciale, in sintonia con i grandi temi ed i grandi interessi culturali del suo tempo (penso agli studi sulla genialità di Lombroso, al saggio di Marie Bonaparte sulla poesia e le manie di Edgar Allan Poe ed a quelli, forse più vicini, del recanatese Mariano Luigi Patrizi sulla genialità malinconica di Leopardi): il suo Il canto degli uccelli (Note di fisiologia e biologia zoologica in rapporto alla scienza sessuale e alla lotta per resistenza, Milano 1878).

 In questo trattato Paolucci si arrischia persino a sostenere una sua tesi originale che pone in collegamento gli organi funzionali dei volatili con il suono da loro emesso, ed entrambi i fenomeni, nel loro modificarsi, con lo spirito di adattamento delle specie al cambiamento delle condizioni naturali, in maniera del tutto analoga con quanto succederebbe nel comportamento umano.

A fondamento della sua tesi pone il principio di differenziazione, cioè la scala di progressiva efficienza e specializzazione degli organi fonatori che appare man mano che si procede, lungo l'albero zoologico, dagli animali più antichi ai più recenti, e la legge della sostituzione funzionale, che agisce "quando un animale, per insufficienza biologica, non potendo eseguire due o più atti di relazione con mezzi diversi, li eseguisce con un mezzo solo, che sostituisce tutti gli altri dell’animale più perfetto".

I suoi interessi naturalistico-linguistici proseguono ancora con lo studio delle etimologie dei nomi degli animali e delle piante, alla ricerca del rapporto preteso, ancora una volta, tra la funzione medicamentosa o estetica e la codifica del loro nome. Nel 1927-28 pubblica, infatti, Sul significato dei nomi volgari attribuiti agli animali e alle piante (Rocca San Casciano). Sono gli ultimi lavori, che Paolucci compila nella casetta di Massignano, alle pendici del Conero, dove si è trasferito dopo la morte della moglie e il collocamento a riposo dall'insegnamento, avvenuto nel 1923, e dove continua la sua vivace attività saggistica, per lo più rimasta inedita (L'escursionista botanico italiano, I giardini d'Italia), di impegnato naturalista, antesignano di quel progetto di Parco del Conero – ideale recupero del suo museo-laboratorio vivente – che vedrà la luce solo più di cinquant'anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1935.

Ed è in questa veste, poetica ed impegnata, tenace ma tenera, che la scrittrice Joyce Lussu, ambientando una geniale detective-story della quale è protagonista un inedito Sherlock Holmes alle prese, nel 1908, con una vicenda di spionaggio internazionale (Sherlock Holmes. Anarchici e siluri, Ancona, il lavoro editoriale, 1982, rist. 2000), lo ritrae disponibile ed ospitale collaboratore del grande investigatore inglese, tra le grotte ed i pianori del monte Conero già studiati dal suo vecchio maestro Francesco De Bosis, impegnato a contribuire originalmente alla soluzione di un caso, destinato, per ragioni di stato, un po' come la sua vita, a restare nell'ombra.

 

 

di Giorgio Mangani

(Edito in Il Museo di scienze naturali “Luigi Paolucci”. Guida alla visita, Ancona, 2006, Sistema Museale della Provincia di Ancona, pp. 5-12)

 

| Home | Area Riservata |