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Premessa
Quella del molino della Torre e dei suoi dintorni è, come scrive Marcello Ceccarelli, appassionato di storia locale, la storia di un "fazzoletto di terra", ma è anche una storia significativa per quanti abitano o hanno abitato questi luoghi.
Questa "microstoria" è un importante patrimonio per l´intera media valle dell´Esino di cui racconta un passato, spesso sconosciuto o sottovalutato, che l´ha vista luogo di passaggio e di incontro e centro di una dinamicità economica che anticipava ciò che oggi è diventata.
Attraverso la ricerca e le testimonianze storiche raccolte da Ceccarelli nella sua opera "Il molino dell Torre in Maiolati Spontini ed i suoi dintorni" torneremo a questo passato. Riscopriremo i "nostri" luoghi ripercorrendo le strade di un territorio a noi familiare che cela dietro la modernità i segni di un mondo che non esiste più, ma di cui siamo figli ed eredi e che non dovremmo mai dimenticare.

I molini nella storia
I molini ad acqua hanno origini antiche. Per gli antichi imperi, che potevano disporre di enormi masse di schiavi, il problema dell´energia non si poneva in termini drammatici, ma il declino della schiavitù durante il Medioevo e il nuovo sviluppo tecnologico indussero le popolazioni europee a diffondere ovunque questa invenzione già fatta secoli prima. Essi, infatti, sono noti nell´Oriente mediterraneo già dal I secolo a. C. Un molino ad acqua figura già intorno all´anno 81 a. C. a Cabira, nel Ponto, l´attuale Turchia. I conquistatori romani lo introdussero prima in Italia e poi nelle province dell´Impero. Si hanno, dunque, notizie di molini lungo un affluente della Mosella, in Gallia. Nell´VIII secolo il molino ad acqua arrivò in Germania, poi in Gran Bretagna; nel IX secolo in Francia e Irlanda; nel XII secolo in Danimarca e Islanda e più in generale la diffusione del molino ad acqua nelle regioni nordiche si è compiuta intorno al XIV secolo. Il molino idraulico più rudimentale e meno redditizio in termini di tempo e di quantità di grano macinato era quello "greco", detto anche "molino scandinavo". Inadatto per le sue caratteristiche strutturali (le pietre erano piccole e giravano lentamente) alla produzione commerciale della farina, esso era prettamente utilizzato per far fronte alle limitate esigenze del singolo contadino.
Il molino ad acqua avrebbe avuto scarso successo se un ingegnere romano del I secolo a. C. non lo avesse modificato costruendone uno più efficiente, detto "Vitruviano", sfruttando la sua conoscenza delle rudimentali ruote dentate.
Oltre che per macinare cereali, i molini idraulici furono utilizzati per applicazioni sempre più diverse come la spremitura delle olive, la pestatura delle mele per ottenere il sidro, dei semi di lino per ottenere l´olio, delle piante per estrarne i coloranti e del carbone che, polverizzato, era usato per produrre polvere da sparo.

La presenza dei molini ad acqua nella media Vallesina
La prima notizia documentata della presenza di molini nella media valle dell´Esino rimanda al 3 dicembre 1186, quando l´imperatore Enrico IV, padre di Federico II, concesse ai monaci Camaldolesi dell´Eremo di San Michele nel territorio del Massaccio (oggi Cupramontana) di costruire molini su entrambe le sponde del fiume Esino. In una bolla del papa Innocenzo III del 20 marzo 1199 si parla della presenza di molini appartenenti all´Abbazia di Sant´Elena nel tratto del torrente Esinante, affluente dell´Esino. Ma tutti gli affluenti dell´Esino e l´Esino stesso erano ricchi di molini: nel 1295 in un tratto di fiume lungo appena sette chilometri, da Scisciano a Moie, se ne contavano sette. A Jesi, invece, in un tratto di quindici chilometri si contavano ben 30 molini. Nel 1295 il Comune di Jesi acquistò più di quaranta molini posti sia intorno alla città sia nelle zone limitrofe, monopolizzando così la macinatura. Nel corso del Trecento e del Quattrocento nel Contado di Jesi i molini si ridussero enormemente tanto che ne rimasero solo quattro: due urbani, uno nell´attuale via Molino e l´altro presso Porta Valle, e due nel territorio limitrofo, uno presso l´odierna frazione di Angeli di Rosora e l´altro, detto molino della Torre, in territorio di Maiolati. Oltre a questi molini pubblici ricordiamo anche alcuni molini privati come il molino Franciolini di Castelplanio, appartenente alla nobile famiglia jesina, e il molino Marcelletti posto nei pressi del ponte di Scisciano. Quest´ultimo, voluto da Salvatore Marcelletti di Maiolati, fu realizzato nei primissimi anni del Novecento e fu l´ultimo molino ad acqua della media Vallesina.
Il molino della Torre in Maiolati
Del molino della Torre o delle Torrette non ci sono pervenute molte notizie. Di esso non si conosce né l´anno della sua prima edificazione né chi ne fosse il più antico proprietario. Di certo sappiamo soltanto che nel XV sec. era uno dei quattro molini a grano appartenenti alla città di Jesi. Vista la specificazione "della Torre" si deve ritenere che originariamente nelle vicinanze del molino sorgesse una torre. Tuttavia la mancanza di informazioni ci rende difficile riuscire a capire di che tipo di torre si trattasse.
Le vicende del molino: dalle origini agli inizi del XX secolo

Le origini
Il molino della Torre, edificato nel fondovalle a poche centinaia di metri dal fiume Esino, e quello di Rosora erano gli unici due molini di proprietà della Comunità di Jesi ubicati lungo l´asse fluviale. Il territorio circostante il molino era, intorno al XII sec., soggetto all´autorità dei signori dei castelli limitrofi. I più vicini al molino erano senz´altro i signori del castello di Moie il cui castello era posto non lontano dall´abbazia di S. Maria. Nonostante fosse l´ipotesi più logica, quella dell´appartenenza del molino ai signori di Moie appare invece la più improbabile, non fosse altro che per una questione strategica. Per loro, infatti, sarebbe stato più pratico nonché più facilmente difendibile, un molino costruito sulla sponda sinistra del fiume piuttosto che su quella destra. Se ne potrebbe soltanto ipotizzare la proprietà nel 1201, quando i signori di Moie, dopo la distruzione del loro castello, divennero cittadini di Jesi e il molino entrò in possesso della comunità Jesina. &EGRAVE più plausibile allora ipotizzare l´originale appartenenza del molino ai conti di Morro Panicale (Castelbellino) considerando che il territorio che oggi è di Monte Roberto e di Maiolati, con la pianura sottostante, allora era sotto la loro giurisdizione. Non possiamo però averne certezza dal momento che del molino non si fa alcun cenno nella descrizione dei beni del territorio di Morro redatto nel 1219.
Oltre che appartenente ai feudatari laici il territorio era per larga parte anche di proprietà della Chiesa (molti i possedimenti di chiese, abbazie, monasteri e anche del vescovo di Jesi). Alla destra del fiume Esino, già dal XII secolo, è segnalata la presenza del ricco (in termini di possedimenti terrieri) monastero di San Sisto. Escludendo che il molino potesse appartenere alle molteplici chiese minori, tutte quasi prive di possedimenti o risorse economiche, presenti sul tratto che dall´Abbazia di San Sisto porta al molino della Torre, l´ipotesi più plausibile è che esso fosse di proprietà o del monastero di San Sisto o del vescovo di Jesi. Avendo i monaci di San Sisto la necessità di macinare il grano prodotto, è possibile che abbiano costruito una chiusa sul fiume ed eretto il molino. Come riportato da Ceccarelli, risulta dai Catasti Jesini del 1294-1295 che il monastero di San Sisto nel corso del XIII secolo possedeva vari molini, tra i quali c´era molto probabilmente lo stesso molino della Torre.
Tra la fine del XII agli inizi del XIII secolo il Comune di Jesi iniziò la sua spinta espansionistica che lo condusse a sostituirsi ai signori locali, impossessandosi di vari castelli limitrofi (come quelli di Moie, Morro Panicale (Castelbellino), Apiro, Serra San Quirico e via via tutti quelli dell´intera valle) e di quei beni che avrebbero garantito una continua rendita, come i molini appunto. Tra il 1295 e il 1297 il Comune acquistò un gran numero di molini monopolizzando così la macinatura sia in città sia in gran parte del contado, ma non è stato possibile verificare se tra di essi ci fosse il nostro molino della Torre. Del molino della Torre, anche chiamato in alcuni documenti "molino delle Torrette", se ne parla intorno alla metà del Quattrocento come molino pubblico.

La torre
Dagli inventari tenuti dai vari affittuari che negli anni subentrarono nella gestione del molino possiamo dedurre che almeno fino al giugno del 1544 la torre esisteva. Una delle tre macine, infatti, viene indicata come "La macina de verso la torre". Questa espressione, la quale ci accerta con sicurezza la presenza della torre, non ci da però nessuna delucidazione sull´ubicazione, la specificità e l´utilizzo della torre stessa. Non sappiamo se la torre menzionata fosse parte strutturale del molino stesso e quindi strettamente legata al suo funzionamento, oppure se il molino fosse costruito accanto o sotto una casa-torre, o se la torre fosse solamente una costruzione posta nelle immediate vicinanze del molino. Della torre, dunque, non sappiamo praticamente nulla se non che essa diede prima il nome al molino e poi, nell´Ottocento, alla stessa località su cui sorgeva che venne chiamata "contrada Torrette", oggi "via Torrette".
Riguardo la torre, che anticamente doveva sorgere accanto al molino, possiamo avanzare soltanto delle ipotesi. L´ipotesi più verosimile è che si trattasse di una torre isolata ubicata nelle vicinanze del molino, utilizzata ovviamente come difesa ma in particolar modo per segnalazioni notturne all´interno di un sistema di altre torri poste lungo la valle dell´Esino. Il toponimo "torrette", infatti, potrebbe far riferimento proprio a questo sistema di strutture di comunicazione. Un´altra ipotesi valida è che la torre fosse di vedetta per il controllo di quanti attraversavano il fiume con la barca o della non lontana strada Flamenia (attuale strada Clementina o Strada Provinciale 76) che passava davanti all´Abbazia di Santa Maria delle Moie. Un´ultima ipotesi indica la torre come casa- torre adibita all´allevamento di colombi o piccioni.

L´importanza del molino nelle vicende storiche
Il molino della Torre, essendo una sicura e redditizia fonte di guadagno, assunse grande importanza sia per la Comunità di Jesi, che ne era proprietaria e che lo tutelò per decenni proibendo la costruzione di altri molini e provvedendo periodicamente alla sua manutenzione, sia per la popolazione delle zone limitrofe. Questo il motivo per cui le sue vicende furono particolarmente care alla pubblica autorità.
Elenco qui alcuni esempi esplicativi di quanto appena affermato:
- Il 10 marzo 1682 Vincenzo Franciolini a Antonio Francesco Stracca, mentre si apprestavano a rifare il nuovo vallato del molino Franciolini, firmarono un documento col quale assicurarono di risarcire ogni eventuale danno che potesse essere arrecato alla chiusa del vallato che portava l´acqua al molino della Torre.
* Il 2 settembre 1755 veniva emessa una sentenza per una lunga causa che vide contrapposti Nicolò Antonio Amadio di Maiolati e la città di Jesi per quasi un cinquantennio. Il motivo di tale contrasto era la costruzione, iniziata da Amadio su un territorio di sua proprietà in località Forcone a Monte Roberto, di un molino. Per via della poca distanza che divideva i due opifici, Jesi lo ritenne dannoso per quello della Torre e riuscì ad ottenere la condanna per Amadio a demolire il fabbricato. Questo, però, grazie ad un compromesso, non venne demolito ma trasformato in abitazione.
* Nel 1765 si dovette provvedere a ristrutturare il molino della Torre e il ponte sull´Esino. Per affrontare le ingenti spese Jesi volle tassare anche i beni ecclesiastici, con conseguente avversione degli ecclesiastici stessi. Jesi riuscì infine nel suo intento e, grazie ad un espediente giuridico, vennero tassati anche quei beni.
Quest´ultimo evento, oltre che farci comprendere l´importanza che il molino aveva per il territorio di Jesi e dintorni, porta alla luce anche un particolare storico rilevante. Finora dalle notizie storiche in nostro possesso era sempre emerso che il primo ponte sull´Esino, in quella che oggi è via Torrette, fosse stato costruito soltanto negli anni ottanta dell´Ottocento. Quanto sopra riportato, invece, ci rivela che già nel XVIII secolo ne esisteva uno a garantire l´unione tra il territorio di Moie e quello di Maiolati e degli altri castelli limitrofi.


Nuovi proprietari
Finché il molino rimase di proprietà della Comunità di Jesi la città lo tutelò essendo esso un sicura fonte di guadagno. La comunità jesina, come abbiamo visto, provvedeva alla manutenzione dell´edificio, del vallato, della chiusa e proibiva categoricamente la costruzione di altri molini. Cessata la proprietà pubblica la cura dell´opificio passò ai vari proprietari che si susseguirono.

I Marchesi Pallavicino di Genova
Durante il periodo napoleonico il molino della Torre finì nelle mani del Regio Demanio. Con la caduta di Napoleone la proprietà del molino passò dal Regio Demanio alla Pontificia Reverenda Camera Apostolica e successivamente, il 4 dicembre 1823, venne acquisito, insieme a quelli di Jesi, dai Marchesi Pallavicino di Genova che se li era aggiudicati in un´asta.
I Pallavicino risistemarono i vallati dei due molini urbani di Jesi e quello del molino della Torre edificando anche nuove chiuse. Nel 1855 la corte del molino della Torre, circa 0,0130 ha nella zona di Maiolati/Boccolina, era di proprietà di Stefano Ludovico Pallavicino. Nel 1870 i Pallavicino acquistarono una novantina di ettari di terreno appartenenti all´Abbazia di S. Maria di Moie e nel 1901 il Marchese Domenico Pallavicino, figlio di Stefano, risultava proprietario di oltre 57 ha a destra dell´Esino (sempre nella zona Maiolati/Boccolina) e di circa 183 ha a sinistra (nel territorio di Moie).
I Pallavicino appartengono ad un´illustre famiglia le cui origini si ricollegano a quelle degli Estensi, dei Malaspina e dei Marchesi di Massa. Essi dominarono nel territorio fra Parma, Piacenza e Cremona che andò a costituire un vero e proprio feudo autonomo, con centro in Busseto: lo "Stato dei Pallavicino".
Il capostipite della famiglia fu Oberto detto Pelavicino (m. 1148) da cui venne il nome, poi lievemente mutato, della famiglia. Dai figli Guglielmo e Alberto il Greco si originarono i due rami della famiglia: da Guglielmo ebbero origine i Pallavicino di Lombardia; da Alberto nacquero i Pallavicino di Genova.
Il 17 gennaio 1894 morì a Genova Tobia Pallavicino, padre di Stefano Ludovico e quindi nonno di Domenico. Domenico ereditò dal nonno numerosi beni fra cui alcuni posti nel territorio di Maiolati: la chiusa e l´antico canale dei molini di Jesi, circa 240 ha di terreno agricolo e il molino a 4 macine della Torre posto tra via Vallati e via Boccolina, con relativa chiusa e canale. Ereditò anche la casa del mugnaio e quella ad uso magazzino.
Domenico morì nel 1928. Alla sua morte gli eredi vollero onorarne la memoria cedendo, il 2 dicembre 1931, un appezzamento di terreno affinchè accanto alla chiesa di S. Maria di Moie sorgesse un asilo infantile. Esso è tutt´oggi esistente come scuola materna privata intitolata allo stesso Domenico Pallavicino.

Settimio Urbani e la nascita della centrale idroelettrica
Il 19 dicembre 1906 il molino viene ceduto da Domenico Pallavicino a Settimio Urbani. Urbani era un uomo lungimirante che colse subito l´importanza che l´energia elettrica rivestiva nel processo di industrializzazione di un paese prevalentemente agricolo come era l´Italia del tempo. Si dichiarò disponibile a cedere gratuitamente, nel caso ne fosse sorta la necessità, l´appoggio dei fili del telefono sui pali di sua proprietà e provvedette a restaurare gli edifici, murare il tratto finale del canale vallato e affiancare all´antico opificio una centrale idroelettrica. La costruzione della centrale portò a sacrificare una macina del molino. Quando venne ceduta ad Urbani da Domenico Pallavicino, infatti, il molino aveva ancora 4 macine; dopo la ristrutturazione tornò ad averne 3 come nei tempi più antichi. Una parte dell´edificio che ospitava il molino venne quindi demolito per far spazio alla fabbrica.
Dopo la morte di Urbani (1917) il molino e la centrale passò ai suoi figli (Ubaldo, Urbano, Elisa, Gentilina). Il molino restò attivo fino al 1922 mentre la centrale, sotto la guida dei figli di Settimio, continuò ancora la produzione di energia. Gli ultimi mugnai furono i Vitali (Giuseppe, suo figlio Vitaliano e Angelo Vitali).


La chiusa del molino
La chiusa del molino e della centrale elettrica era posta all´altezza della stazione ferroviaria di Casteplanio, a circa 200 m a valle della chiusa Franciolini.
Per resistere meglio alla pressione dell´acqua aveva la forma leggermente concava. Ubicata sempre nello stesso luogo, venne però più volte ricostruita a causa delle numerose piene dell´Esino. L´ultima ricostruzione avvenne nel 1880 ma anche questa edificata venne poi abbattuta dalla furia del fiume in piena nel novembre 1944 insieme alla chiusa Franciolini.
La chiusa innalzata nel 1880 venne costruita piantando numerosi pali di quercia sul letto del fiume e riempiendo gli spazi fra un palo e l´altro con pietre e ghiaia murate con calce idraulica e poco cemento. Il lato che si opponeva all´acqua, quello di forma concava, era obliquo rispetto all´acqua, mentre il lato opposto era costruito a gradini in modo che, una volta raggiunto il livello desiderato, la parte di acqua che non serviva ad alimentare il vallato scendesse a valle in piccole cascatelle, senza aumentare troppo la velocità.
Sopra la cresta della chiusa erano posti, a circa ottanta centimetri l´uno dall´altro, numerosi ferri a forma di L. Essi servivano da aggancio per spessi tavoloni di quercia che avevano il compito di innalzare ulteriormente l´altezza delle paratie.
Sul lato destro idrografico c´erano gli edifici di presa e lo scaricatore. Quest´ultimo, collegato a un canale, serviva a rimettere al fiume, qualche decina di metri a valle della chiusa, l´acqua in eccesso. L´accesso dell´acqua allo scaricatore era regolato da una paratia, fatta anch´essa di tavoloni di quercia, che si poteva alzare o abbassare per mezzo di un pesante meccanismo costituito da una grossa vite, alla cui estremità era collegata la paratia, e mosso da una manovella a forma di ruota. I muri dello scaricatore erano fatti di pietre murate con calce idraulica e ghiaia, mentre il pavimento era completamente fatto a mattoni. Allo stesso modo (muri in pietre murate e pavimento in mattoni) era costruito l´edificio di presa del vallato.
Dall´edificio di presa partiva il vallato che terminava con la vasca di carico del molino e della centrale idroelettrica posta a circa due chilometri e mezzo. Parallelo al vallato per alcune decine di metri correva lo sfioratore, un muro che aveva lo scopo di regolare la quantità di acqua nel vallato. Poco dopo l´inizio del vallato sullo stesso fu costruito un ponticello che permetteva di attraversarlo. Oggi il ponticello non esiste più e neppure l´inizio del vallato è più visibile. La chiusa invece, seppur devastata dalla piena del 1944, è tuttora visibile nei suoi ruderi: sul fiume ancora oggi si vedono i pezzi della chiusa, grossi massi composti di pietre e ghiaia, pali e tavoloni di quercia.
La chiusa nell´ultimo periodo della sua esistenza era custodita dalla famiglia Cesaroni che abitava lì vicino.


Il ponte sull´Esino
Il fiume Esino attraversa il nostro Comune all´altezza del suo corso medio e ne divide in due il territorio: alla sua destra il colle su cui si erge l´antico castello e capoluogo di Maiolati, alla sua sinistra il centro urbano di Moie che da frazione comprendente soltanto l´abbazia e poche case si è sviluppata, quasi esclusivamente nell´ultimo decennio del XX secolo, diventando un punto di riferimento per il commercio e i servizi sia per gli abitanti del nostro comune sia per quelli dei paesi limitrofi. Ad unire il territorio di Moie e quello di Maiolati vi è e vi era in passato il ponte di via Torrette che, come abbiamo già precedentemente detto, è stato più volte distrutto dalle piene e ricostruito.
Nel 1944 il ponte, costruito con poderose travi di quercia, venne incendiato dalle truppe tedesche in ritirata. Venne riparato nel 1946 ma la sua struttura fu nuovamente resa precaria da una nuova piena del fiume. Il ponte di via Torrette fu allora costruito in cemento armato dalla ditta Fabbretti e Bonci di Cupramontana. Ultimato nel 1963, fu inaugurato il 18 aprile 1964 alla presenza del sindaco Umberto Cascia, delle "Autorità Ecclesiastiche, Militari e Civili, Provinciali e Locali" e dell´On. Umberto Delle Fave. Il ponte non ebbe comunque vita tranquilla nemmeno dopo la costruzione in cemento armato. Esso, infatti, risultò negli anni troppo stretto per le esigenze del traffico, tanto che è stato poi completamente rifatto, inglobando anche gli antichi pilastri, tra il luglio e il dicembre 2006. Aperto al pubblico il 22 dicembre, è stato ufficialmente inaugurato il 27 gennaio 2007, data attesa dai tanti abitanti del luogo che hanno vissuto il disagio della chiusura del ponte.
Dal momento che sono bastati pochi mesi di chiusura del ponte suddetto per creare difficoltà negli spostamenti alla popolazione del luogo viene da chiedersi come comunicassero i due centri (quello di Moie e quello di Maiolati) in passato, quando il ponte non era ancora stato costruito.


Trasporto sul fiume: la barca
In passato l´attraversamento dei fiumi in assenza di ponti costituiva un problema di non sempre facile soluzione. In estate si poteva tentare il passaggio guadando il fiume nei punti in cui l´acqua era bassa, ma in inverno ciò non era possibile e occorreva servirsi dei passi pubblici a pagamento gestiti dai privati. Per trasportare cose o persone si utilizzavano le barche o le zattere legate con corde da una riva all´altra.
Prima dell´esistenza del ponte di via Torrette sul posto c´era una barca che veniva gestita dagli affittuari che si susseguivano nella gestione del molino della Torre. Essi naturalmente si avvalevano della collaborazione di un barcarolo.
Come abbiamo già visto, i documenti ci informano del fatto che già nel Settecento sul fiume era presente un piccolo ponte di legno, ma esso venne più volte ricostruito (come avvenne nel 1765) e, non essendo di grande consistenza, venne distrutto da una piena.
In mancanza del ponte piuttosto che guadare il fiume era sicuramente più comodo servirsi della barca. L´unica nota a sfavore era quella di dover pagare il passaggio. Questo fu motivo di frequenti proteste da parte dei parrocchiani di Moie, che dovevano pagare ogniqualvolta si dovevano recare a Maiolati per chiedere l´intervento di un medico, e dei Consiglieri Comunali che abitavano sulla riva sinistra, i quali dovevano pagare anch´essi per recarsi alle sedute. Il Consiglio della Comunità di Maiolati fece una seduta il 18 novembre 1821 per trovare un accordo con il barcarolo per il pedaggio da pagare. Si giunse a questa conclusione: dietro pagamento, da parte della comunità, di una somma il barcarolo avrebbe traghettato sia i parrocchiani che ne avevano bisogno sia i Consiglieri Comunali. Anche il Famiglio, ossia il Messo comunale, ottenne il pedaggio gratuito nel caso in cui avesse dovuto attraversare il fiume per questioni di lavoro.
Oltre che del pagamento del pedaggio (che si aggirava intorno alle 30/40 lire), il barcarolo aveva anche bisogno del consenso dei proprietari dei terreni per attraccare sugli stessi. Di norma il permesso veniva concesso, ma talvolta, a causa delle piene, il cambiamento del corso del fiume portava alla modifica del punto di attracco e poteva succedere che il permesso venisse negato e sorgessero liti.


Ricostruzione storica delle distruzioni e delle ristrutturazioni del ponte sull´Esino
1765: una piena del fiume Esino rende inutilizzabile la struttura lignea originaria del ponte.
Anni ´80 dell´Ottocento: viene costruito un ponte in legno di 114 metri di larghezza, composto da 19 campate.
Le numerose piene del fiume e il rifacimento della vicina chiusa Pallavicino, avvenuta nel 1900 per volere del Marchese Domenico Pallavicino e determinante il rialzo del fiume, diedero vita difficile al ponte.
1922-1923-1926: anni in cui il ponte viene restaurato nel timore che le acque dell´Esino lo demolissero.
1938-1941: il podestà Arrigo Cinti, preoccupato per l´isolamento della frazione di Moie, affida alla ditta Emilio Frezzotti la ricostruzione del ponte in legno.
1944: il ponte viene incendiato dai tedeschi in ritirata. I danni fortunatamente non furono eccessivi e fu possibile rendere la struttura parzialmente transitabile ai pedoni.
1946: una nuova piena del fiume rende nuovamente precaria la struttura.
1963-1964: il ponte viene ricostruito, stavolta in cemento armato, dalla ditta Fabbretti e Bonci di Cupramontana.
1991: una piena disastrosa compromette in parte la stabilità del ponte.
2006-2007: il ponte viene completamente ricostruito e ampliato.



di Simona Bacci

BIBLIOGRAFIA
Ceccarelli Marcello, Il molino della Torre in Maiolati Spontini ed i suoi dintorni, Comune di Maiolati Spontini, Tipografia U.T.J., Jesi 2009.

 

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