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Situato sulla trasversale che, passando da Sentinum, congiungeva la Flaminia alla diramazione che seguiva il corso dell’Esino, l’abbazia sorge in uno splendido scenario paesaggistico, in prossimità di un ponte romano, fortificato in epoca medievale, sul fiume Sentino, a presidio dell’imbocco dell’angusta goladi Frasassi, da cui la denominazione de la clausa, ‘delle chiuse’.

È una località ricca di sorgenti termali che conserva resti di epoca romana ed è probabile che il cenobio benedettino sorse su preesistenze romane: la suafondazione, che risale ai primi anni dell’XI secolo, si deve a feudatari locali di stirpe longobarda che avevano in zona i loro castelli, tra cui quello denominato Petroso, arroccato in posizione strategica a guardia di tutta la conca.

Del cenobio, che doveva essere assai ampio ed anche protetto da una cinta muraria, non sopravvivono le strutture primitive, il complesso attuale risale infatti al XIV-XV secolo. Anche la chiesa non è quella menzionata nei documenti più antichi, bensì una ricostruzione realizzata sul volgere dell’XI secolo, evidentemente più consona al prestigio spirituale e temporale raggiunto dall’abbazia. La redazione architettonica dell’edificio, costruito interamente con blocchetti di pietra calcarea, è omogenea. Ha una struttura conchiusa, che gli conferisce l’austero aspetto di chiesa fortificata. Tale impressione è del resto accentuata dalla massiccia torre scalare cilindrica e dall’alto torrione, forse costruito in un secondo momento, che inquadrano la facciata.

Il nucleo quadrangolare è modulato perimetralmente dalla ritmica emergenza delle tre absidi sulla parete di fondo e da due absidi contrapposte che aggettano dalle pareti laterali a guisa di esedre. I muri d’ambito, nei quali si aprono piccole monofore strombate, hanno una sobria decorazione con lesene in spessore di parete coordinate ad archetti pensili che corrono sotto le gronde della copertura piana, a terrazza, dalla quale emerge il prismatico tiburio ottagono.

Attraverso un angusto atrio si accede all’interno, che appare buio e austero, privo di qualsivoglia decorazione: lo spazio quadrangolare è scandito da quattro pilastri cilindrici coronati da semplici capitelli a cubo smussato in nove campate uguali con volte a crociera, eccettuata la mediana che accoglie invece la base ottagona del tiburio con cupola raccordata da un duplice sistema di trombe angolari.

Più volte è stato chiamato in causa l’influsso delle tradizioni architettoniche bizantine per questo singolare impianto centralizzato, replicato in altre due chiese abbaziali, Santa Croce di Sassoferrato e Santa Maria delle Moie e in una chiesa plebana, il San Claudio al Chienti, laddove appaiono invece predominanti e senz’altro più significativi gli apporti lombardi e, parallelamente, quelli pugliesi, specie nel sofisticato sistema delle volte.

 

Il testo è tratto da Il romanico nelle Marche a cura di Claudia Barsanti, Pio Francesco Pistilli, Ars media, Fermo, 2000.

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