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Articolo tratto dal settimanale L’Azione n.7 Anno C 19 febbraio 2011


La celebre data del ’71 e l’avventura di due amici passata alla storia

È passato del tempo, esattamente quarant’anni fa quando due ragazzi scoprirono la Grotta grande del Vento. Per l’occasione ho avuto il piacere di intervistare uno degli scopritori, Rolando Silvestri, che ringrazio per la disponibilità dimostratami. L’intervista è dedicata alla memoria di sua sorella Mara deceduta da circa un mese.
Ci parli brevemente di lei.

Sono nato a Urbania, ma mi considero anconetano avendo abitato in questa città dall’età di un anno. Sono laureato in Architettura. Nel 1984 per motivi di lavoro mi sono trasferito a Lioni, nell’avellinese, dove tuttora abito con la mia famiglia (mia moglie Angelina, due figlie: Valentina e Francesca e una cagnolina, Lulù). Ho l’hobby della lettura e della musica classica.

Come è nata la sua passione per la speleologia?

Dopo una visita alla Grotta del Monte Cucco. Purtroppo non ho potuto coltivarla per molto tempo a causa del terremoto di Ancona del 1972, che costrinse i miei genitori a trasferirsi a Marotta, allentando così un rapporto di amicizia che si era instaurato con i ragazzi del Gruppo Speleologico Marchigiano C.A.I di Ancona. Poi venne l’università che mi fece perdere di vista l’evolversi della scoperta della Grotta Grande del Vento.

Mi racconta cosa è accaduto precisamente il giorno della scoperta (25/09/1971)?

Questa è la data ufficiale della scoperta della Grotta Grande del Vento, anche se in realtà risale al giugno del 1971, quando andai a San Vittore in compagnia di un amico, Umberto di Santo. Quel giorno decidemmo di arrampicarci fino al Foro degli Occhialoni, ma l’impresa, fortunatamente per gli sviluppi successivi della storia fallì. Decidemmo, allora, di scalare la montagna di fronte per vedere il Foro degli Occhialoni da un’altra prospettiva. E così scalammo la montagna fino a dove c’era consentito dalla vegetazione. Nello scendere, feci un piccolo salto dal terrazzamento in cui c’eravamo fermati e nel voltarmi vidi una fessura nella roccia. Con Umberto decisi di entrare a vedere. Dopo 4-5 metri dall’imbocco la volta si alzava, accesi dei rami secchi che mi ero procurato per fare luce e vidi una stanza non grande, ma vidi pure che era abitata da una miriade d’insetti il che ci fece fare un rapido dietrofront. Deluso mi ripromisi di ritornare; presi dei punti di riferimento che furono il Foro degli Occhialoni e un ponticello che scavalcava il Sentino (l’asse passante per il centro del Foro e l’asse del ponte portato alla stessa altezza di quello del Foro s’incon­travano nel punto in cui mi trovavo).Alcuni giorni dopo conobbi un ragazzo di Falconara, Stefano Fiori, che frequentava il G.S.M. di Ancona. Fu lui a introdurmi nel G.S.M. Un giorno in treno incontrai a Fano, Giancarlo Cappanera, un amico del G.S.M. Giancarlo era più grande della maggior parte di noi; ovviamente ci mettemmo a parlare di grotte. Ricordo mi disse che nella zona di San Vittore c’era un certo movimento dei gruppi speleologici (Jesi e Fabriano) che andavano in perlustrazione del territorio alla ricerca, certamente, di altre grotte; questo si deduceva dal fatto che battevano zone dove queste non erano segnalate. Fu a questo punto che misi al corrente Giancarlo della mia scoperta avvenuta tre mesi prima.
Il sabato successivo partimmo alla ricerca di quella fessura che avevo trovato tre mesi prima. Riuscii a ritrovarla grazie ai riferimenti che avevo preso, ma la stanza che io avevo già visto, non sembrava proseguire. Cominciammo allora a vedere se da qualche foro uscisse dell’aria con dei fiammiferi accesi: da uno si vide chiaramente dal tremore della fiamma che la grotta proseguiva. Cominciammo quella sera stessa a rimuovere, con le mani, una piccola frana di terra che aveva ostruito il passaggio.

I giorni seguenti cosa successe ?

Li dedicammo a liberare il passaggio che la frana aveva ostruito. Liberato l’accesso iniziò l’esplorazione della grotta, che si arrestò poco dopo davanti a quello che fu chiamato “Abisso Ancona”. A questo punto sorsero dei problemi. Non eravamo attrezzati per scendere in una cavità di quell’altezza e non avevamo corde di quella lunghezza. Non ricordo chi in seguito ci procurò delle corde che ci permisero di scendere in corda doppia.

Quali emozioni ha provato avventurandosi nelle buie, strette insidiose fessure del terreno?

Furono di stupore e meraviglia di fronte a tanta bellezza. L’emozione più forte comunque la provai nello scendere l’Abisso Ancona quando mi trovai sospeso nel vuoto, al buio, con unico riferimento le tenui luci delle lampade a carburo degli amici che mi tenevano in alto e di quelle in basso di chi era già sceso.

Abisso Ancona, Grotta Grande del Vento, per quale motivo avete scelto queste denominazioni?

Essendo tutti di Ancona ci sembrò doveroso chiamare qualche cosa di “significativo” con il nome della nostra città: sicuramente la cavità dell’Abisso Ancona, essendo tra le più grandi in Europa e nel mondo è qualcosa di “significativo”, mentre il nome della grotta deriva dal fatto che fu scoperta grazie all’aria che usciva da un foro come già detto. Fu necessario aggiungere l’aggettivo “Grande” per distinguerla da un’altra grotta, la “Grotta del Vento” che si trova in Garfagnana.

Lei e il suo amico Umberto di Santo all’epoca avevate solamente 18 anni. Eravate consapevoli che la vostra scoperta avrebbe cambiato radicalmente il tessuto sociale, economico di Genga e del comprensorio?

No. Eravamo troppo giovani e ingenui per capire le ricadute socio-economiche che una tale scoperta avrebbe portato al territorio. Ripensando a ciò che era il territorio del Comune di Genga negli anni Sessanta, un territorio spopolato, sottosviluppato, che faceva pensare a un’enclave del più profondo Meridione (di allora) in una regione come le Marche che a quell’epoca non aveva particolari problemi di disoccupazione e di emigrazione, e vedendo la situazione oggi devo dire che le cose sono notevolmente cambiate in meglio.

Quali consigli vuole dare ai giovani speleologi?

Considero quei giovani che praticano la speleologia, o qualche altra attività o sport legate all’ambiente dei fortunati: trasmetteranno alla loro progenie il “meme” culturale del rispetto della natura. Il consiglio, quindi, che voglio dare e di perseverare nella loro attività e cercare di fare proseliti.

Infine, un breve commento riguardo alla avventurosa scoperta.

L’unico commento che mi sento di fare è quello relativo alla constatazione di non essere mai stati considerati dalle Istituzioni: Provincia di AN, Comune di Genga, Consorzio Frasassi. Non mi dilungherò ulteriormente su quest’aspetto per non trasformare questa intervista in un fatto politico; vorrei solo ricordare che “NOI” scopritori della grotta, una volta che la scoperta fu recepita nel sua giusta valenza, diventammo un epifenomeno, un complemento senza alcuna importanza, da accantonare, in quello che si era trasformato in un affare economico.

 

Intervista realizzata da Valentina Artegiani

 

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