Anna Bonacci nasce a Roma il 28 novembre 1892. Il padre è Teodorico Bonacci (nativo di Jesi), nominato lo stesso anno Ministro di Grazia e Giustizia (in carica fino all’anno successivo, quando si dimette per voto contrario da parte della Camera al bilancio del suo Ministero e ricordato soprattutto per la sua foga oratoria e per i toni forti e aggressivi con cui spesso interveniva in aula) ed eletto Senatore nel 1904, esattamente un anno prima della morte. L’ambiente familiare è dunque di matrice prevalentemente politica, tanto più se si aggiunge il fatto che, il nonno materno, Pasquale Stanislao Mancini, fu anch’egli giurista, Ministro della Giustizia (1876) e Ministro degli Esteri, nonché uomo di spiccata intelligenza e dall’accesa curiosità tanto nel campo storico, filosofico e letterario, quanto in quello scientifico.
Anna è la minore e cresce con altre tre sorelle (Lidia, Elena e Lavinia. È con loro che Anna passa gran parte del suo tempo; anch’esse amanti della cultura, Lidia è una distinta cantante e pianista, mentre Lavinia una pittrice di talento. Entrambe avevano inoltre un profondo interesse e predisposizione per il teatro) e tre fratelli. (nella foto: Ritratto in interno di automobile scattato negli anni '50 (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
Del primo soggiorno della famiglia Bonacci presso Falconara si ha notizie nell’estate del 1983, appena un anno dopo la nascita di Anna. È molto probabile che, la palazzina al centro di Falconara Alta (di fronte alla residenza dei Conti Bourbon del Monte, oggi sede del Palazzo Comunale) sia stata sin dall’inizio prescelta come residenza estiva e poi diventata proprietà della famiglia a partire dai primi mesi del 1889. L’intera palazzina con tanto di giardino e boschetto passò in usufrutto alla madre dopo la morte di Teodorico e poi in eredità alle quattro figlie. Anna e Lavinia si trasferiranno definitivamente a Falconara nel 1957 e vi resteranno fino alla loro morte.
Anna cresce dunque in un ambiente di giuristi e patrioti e con un genere di educazione rigida e adatta, secondo i codici perbenisti di allora, alla figura femminile appartenente ad una famiglia di rango socialmente elevato. La figura materna risulta quasi una sorta di ombra, del padre prima (nonno materno di Anna) e del marito poi. Di lei si hanno notizie in alcune lettere in cui si fa riferimento esclusivamente alle sue condizioni di salute (da quanto risulta, sembra piuttosto cagionevole). Avvicinata alla letteratura e al racconto dall’ambiente domestico, dove circolano poetesse e scrittrici (come Grazia Pierantoni, sorella della madre di Anna e ancora Evelina Cattermole – nota come “Contessa Lara” - nuora infelice del nonno materno che raggiunse la fama con un genere di galateo rosa caratterizzato dall’inquieto erotismo), è probabilmente al regista Augusto Genina (suo zio nonché genero di Mario Camerini che per primo porterà sullo schermo “Moglie per una notte” tratto da “L’ora della fantasia”) che deve la conoscenza del mondo dello spettacolo e, di conseguenza, la propensione a scrivere testi teatrali con caratteristiche più vicine alle atmosfere da sogno che non a quelle reali.
La sua formazione avviene per lo più da autodidatta, in un ambiente comunque attento alla formazione letteraria, artistica e musicale (quest’ultima, soprattutto, si addiceva particolarmente a una “ragazza educata alle buone maniere aristocratiche”). Sempre all’ambiente familiare si deve probabilmente la sua immersione in un mondo completamente irreale e fantastico, particolarmente sensibile al culto della bellezza, dei meccanismi psicologici e della filosofia morale. È nel tentativo di scavare in dinamiche psicologiche proprie, che Anna inizia a dilettarsi nello scrivere piccoli aforismi e poesie, anche se inizialmente molto legati a stili classici e già consolidati. (nella foto: Anna Bonacci vestita di scena nel giardino della villa di Falconara (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
Il fatto di trascorrere la sua giovinezza in continuo spostamento fra Roma e Falconara (fino al definitivo trasferimento) influisce anche sul fatto che, gran parte delle sue opere, siano perennemente caratterizzate da personaggi che fantasticano su realtà e fughe continuamente immaginate e la continua oppressione dell’opinione bigotta tipicamente provinciale (presente in gran parte delle opere, da “L’ora della fantasia” a “Incontro alla locanda” e nella maggioranza della sua intera produzione teatrale).
La notizie riguardo alla vita privata della Bonacci sono piuttosto scarse e lacunose. Nel tentativo di tracciare una biografia il più possibile dettagliata si finisce per fare un resoconto della sua produzione letteraria e teatrale, tanto sono scarne e povere le informazioni riguardo al suo reale trascorso e alla personalità effettiva, mentre ad essere costantemente restituita è l’immagine di “diva, eccentrica, capricciosa, inaccessibile” (1). Forse è proprio questa sorta di mistero che ricopre il suo privato, come anche la sua particolare “penna”, a farne una figura molto più interessante di quanto sia stata effettivamente considerata fino ad ora. Anche all’interno del panorama teatrale e nella drammaturgia del dopoguerra i riferimenti alla sua produzione sono scarsi, se non addirittura assenti, tanto che viene citata soltanto da Giovanni Antonucci nella “Storia del teatro italiano contemporaneo” fra gli “artigiani della commedia brillante e gli esponenti di una drammaturgia eclettica. […] (2)” – dicendo che – “fra questi, è da ricordare “Anna Bonacci per una commedia, L’ora della fantasia (1944), che ha avuto una fortuna mondiale ed è stata portata sullo schermo da Billy Wilder (Baciami, stupido, 1964)” (3). (nella foto: Jeanne Moreau e Suzanne Flon dopo la centieme de "L'ora della fantasia" a Parigi (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
Le uniche informazioni e note ragionate utili a delineare la sua particolare figura psicologica, le offre Anna T. Ossani. Scrive infatti, rifacendosi al titolo dell’opera che l’ha resa nota “L’ora della fantasia” caratterizzata – per altro – da tratti che resteranno ben saldi nella sua intera produzione teatrale:
[…] Un metodo compositivo capace di contemperare i modi di una fantasia portata al fiabesco, con divertite e insieme amare analisi dei vizi e dei compromessi della società borghese. Il profilo che si è venuto delineando è complesso, a tratti inquietante, sgranato tra due diverse immagini: il ritratto che ha voluto lasciarci, sempre vestita di scena, nel ruolo di donna bella, ricca, affascinante, ingegnosa, spregiudicata e beffarda, raffinata ed ironica, nata in una famiglia di grande tradizione culturale, annoiata forse da una piccola città di provincia come Falconara dove viveva molti mesi all’anno, insofferente però anche alle lusinghe della mondanità salottiera di Roma che pure frequentava con assiduità, e quello, emotivamente più fragile, doloroso quasi, che invece emerge, se non da tutte, certo da alcune sue opere. Se l’ora della fantasia, l’ora cioè della libertà mentale, della speranza, dell’immaginario, l’ora in cui è possibile sospendere ogni etica normativa, resta, in tutta la produzione, tema principale della scrittrice, esso mi pare oggi il risultato della decantazione di materiali autobiografici trasposti in sceneggiature dell’anima per il bisogno di vivre son reve, per dare compiutezza ad una vita non vissuta. La storia di Anna Bonacci non inizia infatti dal teatro, ma da ragioni e tensioni che riguardano il rapporto familiare, l’insopportabile peso dei pregiudizi, la condizione della donna nella nuova società, la consapevolezza della fine di un mondo (4).
È proprio della diva capricciosa e sfuggente il ricordo che resta nella memoria dei pochi che ancora la ricordano muoversi fra casa sua e il castello dei Borboun del Monte di cui era assidua frequentatrice o, ancora, gli spettacoli teatrali organizzati – insieme alla sorella Lidya – con i ragazzi e i bambini di Falconara, di cui, tra l’altro, pare amasse circondarsi, come quasi a colmare una maternità mancata (o forse, solo una sorta di nostalgia per il mondo dell’infanzia). L’amore, oltre che per il teatro, anche per la musica, l’aveva inoltre portata (insieme alla sorella Lidya) a frequentare il musicista (anch’egli falconarese) Federico Marini. Proprio uno dei numerosi spettacoli di “arte varia” (teatro e musica) viene così descritto da Luigi Marinelli nella biografia del musicista:
Sabato 29 marzo 1913 […] Lidya Bonacci organizzò nel teatrino del paese uno spettacolo di “arte varia” a beneficio del Mutuo Soccorso Femminile. La sala era talmente piena che si dovette cessare la vendita dei biglietti. Venne recitato il “Don Pietro Campo”, un atto unico probabilmente di Marco Praga (figlio di Emilio Praga) con interpreti la marchesina Clelia Bourbon Del Monte e il marchese Enrico Rappini il quale “fu di una drammaticità inarrivabile. Commosse e fece fremere l’animo degli ascoltatori”. Gli stessi attori poi si cimentarono nelle “Bestemmie del marchese Cadillac” e dovettero interrompere più volte la recita per gli applausi del pubblico che “gustò immensamente il gaio lavoretto”. Dopo il monologo “La macchina per volare” recitato dal Rappini e che mandò in visibilio il pubblico, fu la volta di Anna Bonacci. La ventunenne, futura grande commediografa, non poteva che recitare un suo monologo. Accompagnata al piano dalla sorella Lidya, declamò “Un valtzer d’amore” con quella seduzione tutta propria dell’autrice (5). (nella foto: Pagina conclusiva de "L'ora della fantasia" in una prima elaborazione (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
Si evidenzia dunque come in realtà, la vita della Bonacci fosse interamente scritta e descritta nella sua intera produzione teatrale. Una vita non vissuta, fatta di amori sognati, ma anche una sorta di critica al matrimonio duraturo e alla condizione femminile sospesa fra una fuga verso quella tanto sognata “ora della fantasia” e fra il suo ruolo domestico frutto del bigottismo popolare.
La sua produzione matura e il rapporto con il teatro comincia nel 1936, quando viene per la prima volta rappresentata al Teatro Eliseo di Roma “La casa delle nubili”. La brillante commedia divisa in tre atti, ruota attorno a un gruppo di zitelle che chiedono aiuto al parroco del paese per fondare una casa di riposo in cui trascorrere la vecchiaia. Il provvidenziale lascito di una villa da parte di una sconosciuta signora farà sembrare apparentemente risolta la situazione, finché la benefattrice, si svelerà essere una “cortigiana” per di più amante dello stesso prete. Già in questa prima commedia si comincia a delineare uno dei pensieri costanti nella produzione drammaturgica della Bonacci, ossia il contrasto tra la mentalità bigotta paesana e una più aperta verso errori e debolezze in cui, prima o poi, tutti incorrono.
Nel 1941 è la volta de “L’amante metafisico” messo in scena a Genova dalla compagnia Maltagliati-Cimara-Migliari e ripreso a Roma nel ’59. L’amante metafisico è impersonato da un misterioso “mister Rog”, un uomo che rappresenta quello perfetto costruito dalla fantasia e su cui vengono proiettate tutte le caratteristiche che una donna attribuisce a un uomo quando lo osserva con gli occhi dell’amore iniziale. Nel momento in cui l’abitudine subentra all’innamoramento, mister Rog sparisce, lasciando posto a uno fra i tanti mariti distratti e ciondolanti. (nella foto: Manoscritto con aforismi e paradossi sulla condizione matrimoniale (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
Nel 1942 è la volta de “Incontro alla locanda” dove la presa in prestito di alcuni personaggi storici dalla letteratura romantica contribuiscono a incentrare la storia attorno a due nuclei principali: quello del piacere (qui rappresentato da Don Giovanni) e quello della fantasia (reso da Don Chiosciotte).
Nel 1944 a Roma va in scena “L’ora della fantasia”, poi ripresa a Venezia nel 1948. è con questa pieces che per la Bonacci cominciano pian piano ad arrivare i primi riconoscimenti. Nonostante infatti, nel frattempo produca altre commedie (“Giudizio universale”, il radiodramma “La casa sul fiume” e “Sulle soglie della storia”), è con quest’ultima che riesce ad approdare al cinema nel 1951 con “Moglie per una notte”. Il film, interamente tratto dalla commedia della Bonacci, è diretto da Mario Camerini (regia e sceneggiatura) e vanta fra gli interpreti, Gino Cervi, Gina Lollobrigida, Nadia Grey, Paolo Stoppa e Armando Francioli.
Nello stesso periodo comincia un breve scambio epistolare con Silvio D’Amico che si concluderà poi in maniera piuttosto brusca nel 1954.
La stessa Anna ricorda a D’Amico come un suo parere avesse influito da incoraggiamento alla produzione teatrale:
Avevo scritto solo il primo atto de “La casa delle nubili”. Una mia amica che studiava all’Accademia d’Arte drammatica lo portò a Lei. Lei lo lesse e disse. “Qualsiasi autore italiano metterebbe la firma a questo atto… (6)” (nella foto: Progetto per frontespizio de "Le Favole insidiose" (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
In tutta risposta, i toni di Silvio D’Amico si fanno più aspri:
Ma è mai possibile che, se io non ammiro una commedia, l’autore, o l’autrice, non si contentino dell’ipotesi più modesta, e cioè che la commedia a me non è piaciuta? La mia opinione io la esprimo come la sento e poco importa se essa coincida – come in questo caso, o no – con quello dei critici stranieri da me più stimati. Quando assistei al “Giudizio universale” mi parve di scoprirvi uno spunto capace d’uno sviluppo che l’autrice, a mio avviso, aveva immiserito. Qualcosa di non dissimile ho trovato ne “L’ora della fantasia”, dove pareva che, dalla vecchissima situazione, l’autrice stesse per toccare una nota delicata, e non ha saputo svolgerla. Non ho mai letto l’articolo del mio bravo collega San Lazzaro. Ho letto altre cronache dei suoi molti successi, e me ne felicito con le; sperando che ciò la consoli largamente del mio dissenso (7).
Anna Bonacci scrive:
Non è mi abitudine polemizzare coi critici, né mi sarei curata di raccogliere le parole pronunciate dal signor Silvio D’Amico alla radio (20.02.1954) se non avessi riscontrato in esse più che un’intenzione di fare della critica, un deliberato proposito di colpirmi slealmente. Egli dice di aver voluto controllare sulla stampa estera il successo ottenuto dalla mia commedia e nomina due critici, il Marcel e il Lemarchand, che mi sono stati contrari. Perché tacere di tutti gli altri, e sono numerosissimi, che alla mia commedia hanno prodigato lodi? […] Quanto alla opinione del signor D’Amico che la mia commedia debba considerarsi una pochade, non me ne curo. Critici ben più acuti di lui hanno scartato la superficiale classifica[…]. Perché poi un critico italiano che, non so poi perché detta legge, cerca in tutti i modi di denigrarmi, rivolgendosi ad un pubblico di ascoltatori vasto come quello della radio? (8).
Nel 1953 Anna Bonacci è a Parigi per la prima de “L’Heure eblouissante” al teatro Antoine. La commedia, interpretata da Pierre Blanchar, Jeanne Moreau e Suzanne Flon avrà un clamoroso successo, contribuendo ad appagare il “narcisismo dell’autrice”, poi ulteriormente alimentato dai successi continui, fino al raggiungimento del trionfo mondiale con il riadattamento dell’opera per il film hollywoodiano “Baciami, stupido”, di Billy Wilder, nel 1964. (nella foto: Foto di Anna Bonacci a corredo della favola di "Cappuccetto rosso" pubblicata su "Il Popolo di Roma" il 24 maggio 1929 (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
A Parigi Anna è coccolata e viziata oltremodo. Per il periodo successivo, i suoi tormenti sembrano enfatizzarsi nelle commedie e nelle opere successive, tanto che:
“Il modo di vivere certe ossessioni (la bellezza, la giovinezza), le sue idee contro l’ipocrisia di una società piccola e bigotta, verso la liberazione – anche sessuale – della donna (idee ancora più significative se si tiene conto che la sua attività letteraria inizia nel periodo più becero del moralismo fascista) appaiono oggi, oltre che risultato di una natura estrosa e mordace, prodotto di un rovello interiore e di una insofferenza verso l’ambiente che sviluppa, in un intrigante e tortuoso narcisismo, un’idea della scrittura come forma espressiva con cui dare voce ad una nuova e faticosa coscienza di sé: […] una figura femminile ricollegata a una sensibilità nuova e a nervature ideologiche che motivano in modo originale il suo ruolo all’interno del matrimonio, sottraendola ad ogni funzione materna ” (9) – e un’immagine della vita in generale che – “non si esaurisce nel quotidiano, ma che può essere alimentato e ripagato, per lei donna, con il successo, e per la Donna con una nuova considerazione del suo rapporto di coppia e nella società ” (10).
In una seconda fase di maturità, la Bonacci sembra, da una parte affrontare il risvolto psicologico di quanto prodotto fino a questo punto sfruttando i significati intrinseci e i riferimenti erotici e sessuali della fiaba con una vera e propria rivisitazione di quelle classiche (“Le favole insidiose”) e, dall’altra, abbandonare a tratti il tema “dell’amore per l’amore”, del libertinaggio, del matrimonio e relativa infedeltà, per strade dall’assetto meno stabile, con contaminazioni di vario genere e quasi del tutto avulse dai soliti motivi conduttori della sua intera produzione (“Il venditore di croccanti”), fino poi al tentativo di adeguarsi ai tempi, alle tematiche e problematiche del suo tempo (“Rende-vous spaziale” dove un cosmonauta russo e uno americano si incontrano nello spazio e cominciano a discutere sull’ideologia del proprio governo di appartenenza e del perché siano stati inviati nel vuoto cosmico, oppure “La bionda di papà” dove si fa riferimento alla sofferenza che deriva ai figli dallo scollarsi delle famiglie). (nella foto: Anna Bonacci pubblicata su "Scenario" nel 1953 (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
Con “Al crepuscolo” comincia a farsi largo il tema della vecchiaia, di quella bellezza e giovinezza che inevitabilmente svaniscono, portandosi appresso tutto ciò che le contorna e caratterizza.
I suoi ultimi testi risalgono al 1975 (“A strage order” e “Le disperate”), quando quella bellezza ormai sfiorita la porteranno a rinchiudersi in un totale isolamento (pare, secondo le testimonianze, che “sfregiasse” tutte le fotografie che la ritraevano fino a far diventare il volto irriconoscibile) fino al 1981, l’anno della sua morte avvenuta in completa solitudine e quasi dimenticata dai suoi illusori mondi: quello dello spettacolo di cui, almeno per un po’, era stata una stella brillante, e quello in cui lei stessa aveva amato vivere completamente immersa.
(nella foto: Lettera al direttore del "Corriere della sera" dove si fa riferimento all'articolo di Montale del 1-4-1953 con il titolo di "Scittori con 'situazione" al cocktail da Madame X" (dall'archivio Anna Bonacci e pubblicata in "Anna Bonacci: la drammaturgia sommersa degli anni '30 - '50", a cura di A. T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro edizioni, Pesaro 2003.)
di Laura Coppa
(1) Salvatore D’Urso, “Anna Bonacci: poesie e ricordi” in “Anna Bonacci e la drammaturgia sommersa degli anni ’30 – ‘50”, a cura di Anna T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro Edizioni, Pesaro 2003, Pag 46
(2) Giovanni Antonucci, “Storia del teatro italiano contemporaneo”, Edizioni Studium, Roma 2012, pag. 170
(3) Ibidem, come sopra
(4) Anna Teresa Ossani, “Anna Bonacci. Il teatro della vita non vissuta” in “Anna Bonacci e la drammaturgia sommersa degli anni ’30 – ‘50”, a cura di Anna T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro Edizioni, Pesaro 2003, Pagg. 88, 89
(5) Luigi Marinelli, “Federico Marini. Un musicista gentiluomo”, Comune di Falconara Marittima-Assessorato alla Cultura, Falconara Marittima 2004, pag. 90
(6) Carteggio scambiato fra Anna Bonacci e Silvio D’Amico e conservato al Museo dell’attore di Genova citato in “Anna Bonacci e la drammaturgia sommersa degli anni ’30 – ‘50”, a cura di Anna T. Ossani e Tiziana Mattioli, Metauro Edizioni, Pesaro 2003, pag 125.
(7) Ibidem, come sopra
(8) Ibidem, come sopra
(9) Idem, come sopra, pag. 98
(10) Ibidem, come sopra