In un’ampia conca, dominata dalla vetta del San Vicino, sorge il complesso dell’abbazia di Valdicastro, il più importante centro monastico della Vallesina, nonché ultima dimora di San Romualdo che qui morì nel 1027.
Il monastero appare come un piccolo agglomerato compatto di edifici, organizzati attorno allo spazio quadrato del chiostro e sovrastati da una torre di guardia.
La storia dell’abbazia è intimamente legata alla carismatica figura di San Romualdo (952/6-1027) e alle sue esperienze religiose, permeate da istanze ascetico-penitenziali che rivitalizzarono profondamente il cenobitismo benedettino.
Come si apprende dalla Vita di San Romualdo scritta da San Pier Damiani, il santo ravennate fondò il monastero intorno al 1009/10, sulle terre che gli erano state donate dai signori locali. Nel corso delle sue peregrinazioni aveva scelto quella splendida vallata che gli era apparsa perfetta per il suo desiderio di solitudine: dapprima visse in un eremo vicino alla rocca di Civitella e solo nel 1009 mise mano alla costruzione della chiesa e del cenobio presso una sorgente nel fondovalle, dove esisteva già una cappella e un piccolo monastero femminile.
Romualdo tornò a Valdicastro nel 1012 e, poco prima di morire, si fece costruire a breve distanza dal cenobio una cella dove concluse la sua parabola terrena il 19 giugno del 1027. Il suo corpo venne deposto nella cripta della chiesa abbaziale. Ciò diede fama e prestigio all’abbazia che accrebbe la propria sfera d’influenza, estendendo la propria giurisdizione economica e spirituale su numerosi chiese e castelli tra Umbria e Marche.
Il primitivo cenobio era composto da due corpi di fabbrica disposti perpendicolarmente: la chiesa con la cripta e l’edificio con gli ambienti monastici. Nel 1262 l’abate Marino diede avvio ai grandi lavori di ristrutturazione della chiesa e di ampliamento del monastero, su progetto di un Maestro Tebaldo, che vennero completati intorno alla metà del XIV secolo. Il complesso assunse allora l’aspetto di abbazia-fortezza che, nonostante alcune trasformazioni e demolizioni dovuti a eventi sismici e a diverse utilizzazioni, conserva tutt’ora, con gli ambienti disposti a quadrato intorno al chiostro ed il sistema di vedetta e di difesa.
Del nucleo primitivo rimangono: l’ala orientale del chiostro con volte a crociera a sesto ribassato, la contigua sala capitolare e la cripta a tre navate definite da due serie di pilastri coperte da volte a botte, in comunicazione con la sovrastante chiesa in corrispondenza del presbiterio leggermente sopraelevato.
La chiesa duecentesca, priva di due campate atterrate dal terremoto del 1742, ha un impianto a croce latina con nave unica e transetto triabsidato. Lo spazio interno è modulato da archi di valico a sesto acuto su pilastri a fascio con alte crociere.
Il testo è tratto da Il romanico nelle Marche a cura di Claudia Barsanti, Pio Francesco Pistilli, Ars media, Fermo, 2000.