Da una ricerca presso la Biblioteca Comunale di Ancona ho trovato la trascrizione dattilografata di una relazione stilata dal Dott. Conte ANTONIO BONFANTI ZUCCARDI, Medico e Chirurgo, all’indomani dell’epidemia che ha colpito la nostra città nel 1865. Al di là della terminologia e del linguaggio scientifico, tipici del periodo, mi è sembrata interessante riproporla anche perché mette in risalto le doti d’altruismo ed impegno sociale di alcuni cittadini fidardensi.
L’epidemia colerica in Castelfidardo ebbe principio l’11 agosto ultimo con la morte d’una donna per nome Zamponi Agata vedova d’anni trenta cenciajuola povera, fu colta l’ 11 di agosto da vomito e diarrea di materie dapprima giallastre, di poi siero-albuminose, da granchi alle sure, sbarra epigastrica, iscuria renale, algore, cianosi, afonia e morì il giorno dodici stesso mese.
Questa forma completa di Coléra Asiatico non poteva essere confusa con altri morbi, neppure con la perniciosa colerica; epperò sin da quell’epoca questa Commissione Sanitaria Municipale s’avvisò di procedere con sollecitudine alla disinfezione della casa, mercè il noto suffimigioGuyton-Morveau; al trasporto del cadavere.
Per quanto ricercassi in questo primo caso di Colèra, non mi fu dato scoprire traccia d’importazione.
Prima del’ 11 agosto ultimo niuno era venuto di fuori ad ammalarsi od a morire di Colèra; nè l’attaccata ebbe relazione o contatto di sorta con viaggiatori. Ma chi non sa che sì fatti contagi eludono le migliori ricerche, laddove innumerevoli sono gli arrivi dai luoghi infetti? Laddove inevitabili sono i contatti d’uomini e di cose? Poco proclive di vagare tra teoriche tuttavia contestabili mi restringo nel campo dell’osservazione pratica.
Dopo cinque giorni dalla morte della sopradetta, avvenne un altro caso di corso peracuto, di forma solenne incontrastabile, seguito da morte.
Da quest’epoca crebbero gli attacchi ed i decessi.
L’epidemia nei primi giorni si mantenne ristretta di numero, ma grave nella forma; infierì poi su tutte l’età e di più su certe condizioni sociali, assalendo con preferenza i valetudinari di male-abito o di profonda cachessia palustre, quelli che non seppero abbandonare le prave abitudini di vita ed i timidi.
Queste svantaggiose condizioni accoppiate a quelle del succidume del basso popolo, alle abitazioni umide, mal aerate ed affollate, al tristo alimento della gente povera – fatto in genere di legumi, pane nero poco cotto ed ortaggi - hanno figurato in questa epidemia come cagioni predisponenti ed aggravanti del morbo. Ed in vero i rioni del paese, nei quali maggior numero di vittime ha mietuto il Colèra sono stati quelli della Muchia, Ospedale Vecchio e Borgo S. Lucia ove più notevole è la miseria e la mancanza assoluta di latrine.
Pochissimi sono stati gli agiati morti di Colèra. Arrogi pure le condizioni meteorologiche dominate nel tempo dell’Epidemia, predominio dei venti del Sud/Sud-Ovest, variabilità Barometrica e Termometrica, ed aria pesantissima.
Giova qui pure notare, che la più parte degl’infermi per ignoranza invocò tardi il soccorso dell’arte medica, trascurando il tempo più utile della Diarrea Premonitoria; cosicché molti non vennero assistiti in tempo e quando l’arte riesciva impotente.
D’aldronde io sono convinto che il Colèra, al pari d’ogni altro morbo popolare deve mietere un numero di vittime ad onta dell’eccellenza dell’arte salutare; ma sono pur convinto, che il numero è maggiore quando il male è abbandonato a se stesso.
Al medico, chiamato quasi sempre nella estrema gravezza del male limitato dall’angusta cerchia dei mezzi, di fronte ad un morbo ferale, fuggevole non restava altro compito, che quello di dominare, per quanto eragli concesso, i fenomeni più imponenti e particolari, studiando nello stesso tempo la tolleranza dei mezzi adoperati.
Necessaria a me parve la calda covertura del letto, ma non opprimente o producente angoscia.
La prima è più interessante cura sintomatica a me sembrò quella di frenare la copiosa trasudazione intestinale, alla quale si rannodano tutti gli altri fatti morbosi gravi della sindrome fenomenica del Colèra; e contro quel fenomeno l’oppio e le polveri del Dovver associate al magistero di bismuth resero segnalati servigi. Però notai pure in certi casi cessare del tutto il vomito e la diarrea, svolgersi con tanta rapidità la successione degli stadi morbosi, compiersi, dico, le metamorfosi e seguirne la morte.
In molti casi di abbondanti e refrettarie diarree mi avvalsi con successo delle decozioni di riso con landano liquido sotto forma di clistere, ed anche di cristei d’acqua ghiacciata.
A mitigare la grave inestinguibile sete, e a ristorare il sangue delle sofferte perdite sierose, trovai utile e tollerato il ghiaccio in pezzetti, o la scarsa bibita diacciata, ma così non posso dire della neve in pezzetti perché piena di sabbia, la quale distruggeva l’effetto delle polveri del Dovver e delle altre medicine.
Nella prevalenza dei fenomeni spasmodici riuscì giovevole la esterna eccitazione mercé le fregagioni con Alcool canforato: o con senapizzazione trascorrente: e l’applicazione del senapismo o delle compresse diacciate sull’epigastrio valse talvolta a frenare il tormentoso fenomeno della sbarra epigastrica.
Nello stato di cianosi credetti necessario far raddoppiare i mezzi di esterna eccitazione non solo, ma ricorsi pure agli eccitanti per la via interna per liberare il cuore dalla minacciante paresi: somministrai la mistura di Strogonoff o il vino vecchio del paese od altro analogo con qualche successo, bandendo affatto dalla via interna il Carbonato d’ammoniaca, i preparati rameici, i Carburi ed altrettali sostanze irritanti, che a torto grande portano il titolo di anticoleriche capaci solo di accrescere il processo acutissimo di denudazione della mucosa gastroenterica, constatato da me e da altri fisici nella Epidemia della città d’Ancona e di Brindisi.
Dal 20 settembre cominciò sensibilmente a decrescere il numero degli attacchi e dei decessi; dominare nel male una forma più mite un corso più lento.
La minorazione della mortalità in questo periodo di tempo a me sembra tenere a varie cause, che giova indagare. E pria di tutto la spontanea decrescenza del male, per quel corso parabolico, che ogni epidemia di siffatto genere assolve fra 35 o 40 giorni. Dippiù la popolazione rinsavita dalla strage, la classe povera dal Municipio largamente soccorsa, si rese sollecita a chiedere il soccorso Medico nella Diarea Prodromica: bandì pure i pasti ridondanti e malsani. La venuta di chi fa la relazione e quella del signor Dottore Ricciuti Ezechiele per la malaugurata ricorrenza del Colèra in aiuto dei colleghi Locali, valse a sollevare lo spirito pubblico, depresso d’assai dalla luttuosa circostanza. Ed in fine l’aumentato numero dei Medici permise una distribuzione di servizio perlocchè gli infermi furono osservati più volte di giorno e di notte.
In pochi casi al Colèra seguì lo stato tifoide, il quale riuscì sempre letale quando negl’infermi al comparire del secondo, non eran del tutto scomparsi i fenomeni del primo. Mai nello stato tifoide ricorsi al sanguisugio retro-mastoideo, mi giovai piuttosto di rivulsivi esterni e delle decozione di tiglio avvalorato dall’acetato ammoniacale per la via interna.
Fu sezionato un cadavere dal Ecc.mo signor Dottore in Chirurgia Perdich Angelo presenti i signori Dottori in Medicina Galli e Pellegrini morto dodici ore dopo l’attacco.
Il sangue era fluido denso e di color piceo, il cuore destro e le vene soverchiamente piene, le arterie ed il cuore sinistro quasi del tutto vuote.
I seni cerebrali e le vene delle meningi zeppi di sangue oscuro. I ventricoli cerebrali asciutti del pari che il pericardio; nel polmone ipostasi limitata ai lobi inferiori.
Nel tubo gastro-enterico del suddetto cadavere si rinvenne una considerevole quantità di liquido simigliante a densa decozione di riso, misto a fiocchi bianchi, e del tutto simile al liquido evacuato in via dal Coleroso.
Nello stomaco la mucosa era rammollita ed in certi punti iperemiata ed ecchimosata.
Il fegato nello stato ordinario; la milza d’una consistenza maggiore della naturale. Epperò le lesioni patologiche rinvenute nel Cadavere si riassumono nel seguente modo:
1° Stato iperemico ed ecchimotico di alcuni tratti della mucosa gastrointestinale, distacco di epitelii.
2° Copioso trasudamento gastro-enterico di colore caratteristico.
3° Addensamento e coloramento piceo della massa sanguigna.
Le lesioni del tubo intestinale furono rinvenute in un grado più apprezzabile. In alcuni punti della mucosa la convertura dei villi intestinali era mancante; estese erano l’ecchimosi sotto mucose, e le denudazioni di dimensione e forma variabile, in vicinanza della valvola ileo-cecale.
La epidemia colerica dopo il corso di quaranta giorni finì.
La popolazione non minorata affatto da emigrazione, meno dell’emigrazione di quattro o cinque famiglie, secondo l’ultimo censimento ammonta un’incirca di 6275 teste.
Di questa cifra gli attaccati sono stati 125 i morti 67.
I morti si dividono in 33 femmine e 34 maschi.
QUADRO DEI MORTI DIVISI PER ETA’
Da 1 anno a 10 anni Morti 11
“ 10 a 20 “ 5
“ 20 a 30 “ 6
“ 30 a 40 “ 6
“ 40 a 50 “ 7
“ 50 a 60 “ 10
“ 60 a 70 “ 10
“ 70 a 80 “ 12
Prima di chiudere la presente relazione mi corre l’obbligo di portare a pubblica conoscenza i nomi di certi che per la loro condotta e filantropia si sono resi benemeriti alla pubblica riconoscenza del paese e lascio ad altro l’incarico di nominare Coloro che meritano l’esecrazione di chi sente un pochino d’amore al prossimo e vera carità evangelica.
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Don Ludovico Buccolini Prevosto Parroco di S. Stefano
Don Filippo Canonico Carini Comparroco di S. Stefano e Cappellano dell’Ospedale de’ colerosi.
Don Daniele Canonico MordiniComparroco di S. Stefano e Vicario Foraneo del Capitolo.
Padre Carlo Cesanelli Guardiano de’ Minori Conventuali di S. Francesco.
Si mostrarono veri seguaci di Christo prodigando ai colerosi i soccorsi della religione con coraggio, ed abnegazione senza curarsi del riposo.
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Ghirardelli Sig. Paride Assessore e ff. di Sindaco e membro della Congregazione di carità d’anni settantadue.
Sciava sig. Gio. Battista Capitano della Guardia Nazionale, Presidente della Congregazione di Carità e commissario di Sanità.
Sciava sig. Lorenzo Membro della Commissione Sanitaria, e rappresentante il Cassiere Comunale.
Ghirardelli sig. Luigi Membro della Commissione di Sanità.
Ghirardelli sig. Gherardo segretario aggiunto.
Fiorani sig. Giuseppe segretario della Commissione Sanitaria.
Tomasini sig. Antonio Economo dello spedale de’ colerosi e membro supplente della Commissione di Sanità.
Rispondevano sempre alla voce del dovere, che in simile evenienze viene di rado preposta a quella di una personale salvezza con abnegazione senza pari.
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Pellegrini Eccmo Dott. Francesco Medico Primario, e membro della Commissione di Sanità.
Galli Eccmo Dott. Crescentino Medico Comprimario.
PerdichiEccmo Dott. Angelo Chirurgo.
Tornerebbe inutile ogni elogio di carità ed abnegazione.
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Signor Don Mordini Canonico Fortunato Membro della Congregazione di Carità. Volenteroso visitava i colerosi verificando se avevano ricevuti i soccorsi che distribuiva la detta Congregazione.
Signori Mordini Dottor Nicola e Franchilancia Gustavo, esempio di carità andando loro stessi per la Campagna ad elemosinare paglia per i convalescenti colerosi, e facendosi iniziatori d’una coletta in danaro che poi fu da essi convertita in compra di tele e grano, facendo la giusta distribuzione loro stessi.
Brillarelli Vincenzo distributore del Ghiaccio e Limoni fu attento al suo servizio giorno e notte e benché fosse colpito da forte Colerina non abbandonò mai il proprio dovere.
Castelfidardo 3 Febbrario 1866
Il Relatore
Dottore Conte ANTONIO BONFANTI-ZUCCARDI
Medico e Chirurgo
Ovviamente i cattolici fidardensi hanno associato alle cause scientifiche indicate dal Dott. Bonfanti Zuccardi anche e soprattutto il miracoloso intervento divino caldamente ed assiduamente invocato con preghiere, penitenze e processioni con la sacra immagine del SS. Crocifisso venerato nella nostra chiesa Collegiata.
Renato Biondini