Leonardo Cemak, seppur nativo di Senigallia, ha da sempre un particolare rapporto con Arcevia. Dopo un'infanzia in cui, i dil fatto frequentarla durante il periodo estivo (all'epoca i ragazzi delle zone limitrofe, venivano a rifocillarsi e a prendere l'aria buona)era prettamente un obbligo e, di conseguenza, qualcosa vissuto in maniera non proprio positiva, Leonardo ha riscoperto in maturità il silenzio estremo, le passeggiate e le meraviglie che la natura boschiva regala in una delle località più “estreme” di Arcevia ossia Caudino: verde e silenziosa zona boscosa circondata da monti, dove ufficialmente risiede un solo abitante ultra ottantenne e dove il concetto di tempo ed epoca è quanto mai relativo.
Un gentiluomo con impressi i segni del luogo in cui è nato: i capelli scompigliati dalla brezza e dentro gli occhi il mare perenne. Leonardo Cemak non ama particolarmente parlare di sé. Preferisce siano le sue opere e i suoi disegni a farlo. Immaginette nascoste dalle copertine rigide dei libri di fiabe, illustrazioni che si imprimono silenziose nella memoria a lungo termine e che, quando riaffiorano, lo fanno con prepotenza e con quell’inconfondibile odore di sacro. Una sorta di timore referenziale amplificato da quei soggetti che sono vere e proprie soglie, inizializzazioni, passaggi e che, come singoli blocchi contigui, piastrellano lo scorrere della vita. Leonardo Cemak sviscera e gioca con le emozioni profonde che sono di tutti. Boschi notturni come scenario dello scambio continuo fra vita e morte, fronde spiritate di grafite dove, in mezzo al nero della notte – ma forse è il verde scuro della vegetazione fitta – bagliori istantanei vengono immortalati come visioni extraterrene, extrasensoriali, o solo come scherzi che l'occhio fa, nel patetico tentativo di riprendersi uno spettro di luce da qualcosa che l'ha interamente assorbita
Si chiama Leonardo, nasce in via Raffaello, studia alla scuola d’arte in via Michelangelo e frequenta l'Accademia in via Belle Arti: Leonardo Camak è un predestinato dell’arte.
Già illustratore di fiabe (“Alice nel paese delle meraviglie” e “Oltre lo specchio” sono due delle tante) e vignettista, fra i tanti, per l’Unità, Rinascita, Panorama, Linus, Comix e il Satyricon di Repubblica, Cemak è anche pittore di bianchi, di neri e di alcuni toni di grigio.
Protagonisti delle tue opere sono spesso elementi naturali come boschi, il mare o la vegetazione: c’è un motivo particolare?
Nel bosco ci sono gli alberi, il fogliame, l’oscurità… dal punto di vista della composizione e della resa grafica o pittorica è davvero affascinante. Concettualmente parlando, invece, l’accesso al bosco è una soglia, una metafora della vita e delle sue fasi. La cultura intera, a partire da quella fiabesca, è piena di riferimenti al bosco come luogo di passaggio fra l’infanzia e l’età adulta. Un percorso affatto privo di rischi che ha come scopo la maturazione, un’inizializzazione che spaventa e attira allo stesso tempo.
Per il mare vale la stessa cosa. Essendoci nato poi, per me rappresenta uno degli elementi a cui sono più legato, lo spazio dei giochi da bambino. Un piccolo mare effettivamente, ma che per me ha sempre nascosto gli stessi segreti di un oceano: “L’Oceano Adriatico”, appunto! Pittoricamente parlando mi piace la sua forza, la sua energia. Quella dell’acqua in movimento non è una facile resa: per ottenere buoni risultati non puoi usare piccole pennellate decise, la mano che traccia la schiuma e la potenza dell’acqua deve imitare lo stesso movimento delle onde…
A proposito di boschi… come mai hai scelto di vivere fra un piccolo paese e il preappennino?
Non amo la confusione delle metropoli e delle grandi città. C’è un tempo per tutto e poi, il posto in cui si sceglie di vivere corrisponde in parte alla propria anima. Mi piacciono i boschi, il mare e gli spazi aperti dove poter essere libero… tutto qua!
Bianco, nero e grigio: come mai questa sorta di “avversione” al colore?
Per risparmiare sulle materie prime! Scherzo, ovviamente… Semplicemente perché il colore è ruffiano…
Il tuo stile è inconfondibile tanto nel disegno quanto nella pittura: qual è, se c’è fra i due, il metodo espressivo che prediligi!
Il disegno è semplicemente “lo scarabocchio” di un’idea. Una sorta di appunto preso mentre sono a bere un caffè al bar e che va poi sviluppato in un’opera pittorica. Sia pittura che disegno possiedono comunque una propria compiutezza. Non c’è un preferito fra i due metodi, ma è ovvio che la mia formazione da illustratore diventa in qualche modo evidente anche in pittura. I bianchi, i neri e grigi sono anche il risultato di questo…
Qualcosa, del tuo mestiere, di cui non faresti mai a meno?
Del fatto di poterlo fare e di farlo. Se elencassi la serie delle funzioni vitali come respirare, mangiare e via dicendo, metterei anche il disegnare e dipingere. Tutti siamo quello che facciamo e non si può chiedere di meglio di poter fare ciò che si è.
Cosa ne pensi del panorama artistico coevo?
Non voglio esprimere giudizi, ma posso dirti ciò che penso… Credo semplicemente che, gli artisti che determinano il mercato attuale, spesso non eseguano la propria opera. Sono più simili a progettisti, designer e architetti intenti a soddisfare le richieste del cliente, piuttosto che il proprio concetto di opera d’arte. È una semplice osservazione, ma ho come l’impressione che si assista a una sorta di interruzione di quel filo unico e continuo, qual dovrebbe essere, fra intelletto e mano e che, di contro, credo sia indispensabile e naturale.
Intervista di Laura Coppa